Sweet Porridge - Considerations


Sweet Porridge

This story is very dear to me.

What’s good about it is that it can be told to very small children as it tells them that porridge is endless.

I would love to convince moms, dads, grandparents to tell it to their children again and again, and I will try to do so with my reflections and considerations.

I believe that the Mother stands to represent Reason, Adulthood,

That part of us that doesn’t fall for delusions and adapts to the place that life finds for it, but despite its best efforts can’t manage to do all the things that it should do, always feels wanting and can’t find a way out.
Should it find greatness all of a sudden it won’t be able to handle it, it just can’t remember how the saying for the little pot goes.
So, as winning leads to its ruin, a special situation ends in crisis, too much work produces stress, achieving more than what was predicted leads to an excess of leftovers with the inability to handle
them, with our surplus having to be burned away.

The Child, on the other hand, represents the Soul, the Eternal Child, and our individual creative energy. 
That part of us that if doesn’t receive enough from the world hungers for more. 
We can silence it by trying to bring it to reason, to be realistic, not to fall for dreams as there are things that just can’t be afforded. We need to learn to make amends, to know that there isn’t enough for everyone, and that we have to do without. To be responsible, to think about the others, to be good. 
In the end the Child no longer speaks. However, she is still hungry and within us remains that malcontent, that lack of satisfaction. 
If the Child is able to make itself heard, things will change. 
In the story everything happens because the child expresses her wish.
Some speak of a part that is always within us and that we need to learn to get in contact with, other speak of angels or superior beings, of Deep Wisdom.
However things may be, the Old Lady is able to reach the source of solutions and provide them to the Soul.
The source of solutions is represented by the Woods, the collective unconscious per say, the place where everything that Reason can’t comprehend lies, the place where everything that is new, inventive, intuitive, congenial comes from.
The Small Pot is the solution, it is able to produce all the porridge that’s needed, it is the very representation of the infinite, it is the cornucopia of bounty.
In life we had to get used to the fact that something is always escaping us: whether it may be work, knowledge, opportunities, time, money, means or resources.
Should we get an original idea and for a moment we believe it could work, we immediately chastise ourselves for being unrealistic, we list to ourselves a valid series of reasons why that would be that inevitably lead us back to a familiar pessimism, however should we be unable to even imagine other possible perspectives it’s impossible to achieve anything, and we’re always starting on the wrong foot.
Lacks and limitations stem from our evaluating only that which we have knowledge of, looking at things from a rigid, fixed perspective and putting heaps of restrictions on ourselves.
Why do I believe that “Sweet Porridge” should be told to a child from a young age?

Because growing next to him they will always have someone ready to project uncertainties and inhibitions onto them, others will strive to infect them with their fears teaching them resignation and misery. This is why deep inside somehow I want them to know about the little pot and all that Porridge.

Modificare le fiabe...

Raccontando le fiabe alle tue figlie c'era qualcosa che t'infastidiva e comprendo la tentazione di modificarlo.
MA le incongruenze, gli aspetti "diseducativi", le crudeltà contenute nelle fiabe classiche sono aiuti incredibili per vivere la vita.
Ci sono passaggi che razionalmente viene da censurare mentre sono PREZIOSI!
Le fiabe di Andersen, che NON sono fiabe classiche, paiono delicate mentre contengono messaggi pericolosi.
Sto facendo un lavoro molto serio, non so come fare perché venga almeno letto.
(Questa la risposta ad una signora che mi dice di aver modificato le fiabe nel raccontarle alle figlie)

Fiabe da NON regalare/raccontare ai bambini: Il soldatino di piombo

Tra poco è Natale. Riporto un pezzetto di quel che ho scritto su "Il soldatino di Piombo" per dare almeno una vaga idea del perché non regalare/raccontare questa fiaba ad un bambino.

<<È una fiaba con giocattoli e avventure che sembrano corse al luna park, che attira in un mondo grazioso, però poiall’improvviso mostra la visione cruda dell’annientamento. Soldatino e ballerina finiscono bruciati, tra la cenere di loro resta solo un grumo di piombo ed un lustrino annerito. Solo materia

La storia è raccontata in termini di fenomeni naturali: colpi di vento, combinazioni, capricci. Niente fate o omini misteriosi, niente leprotti marini o chissà quali animali sorprendenti, niente pentolini o altri oggetti magici. Viene considerato solo ciò che è materialmente tangibile, la fiaba vuol essere razionale, nulla di fatatola realtà è quella che è e se non ci sono vie d’uscita non ci sono concessioni al prodigioso.

Ma la pretesa di razionalità è sbilanciata e imparziale,  non è ammesso il soprannaturale amico, ma quello cattivo sì.
La fiaba insinua il sospetto di una regia occulta, di una volontà potente e malvagia alla guida del caso. Insiste che le disgrazie del soldatino siano volute dal troll, un giocattolo a molla che sta nella tabacchiera.
La prima notte, vedendo il soldatino guardare la ballerina, il troll dice: “Smettila di guardare gli altri!”poi “Aspetta domani e vedrai!”.
L’indomani, quando il soldatino cade dalla finestra, la fiaba commenta: “non so se fu il troll o una folata di vento”.
Il soldatino trascinato dall’acqua pensa: "Sì, tutta colpa del troll!”.
E alla fine la fiaba dice che un bambino getta nel fuoco il soldatino proprio senza alcun motivo, sicuramente era colpa del troll della tabacchiera”.

Razionalmente nulla prova che il troll influenzi gli eventi, potrebbe trattarsi solo di suggestione, ma la fiaba non se ne accorge.
Con la pretesa della razionalità la fiaba apre una breccia in cui deposita l’idea dell’occulto insensato,inesorabile, malvagio.>>






Violenza sulle donne

C'è stata una giornata dedicata alla violenza sulle donne.

Concretamente ha portato a qualcosa?
Tra slogan e immagini, capeggiava la notizia di un uomo che proprio quel giorno ha ucciso la compagna.

Concretamente quindi, vogliamo cominciare a far qualcosa o andiamo avanti a far girare slogan e immagini?

Perché ci sono donne che rimangono legate ad uomini violenti? donne che accettano l'inaccettabile?

E' per via dell'idea che sia compito della donna rendere migliore l'uomo. Idea che causa l'incapacità di troncare immediatamente un rapporto dai tratti insani.

Lo stereotipo che la rappresenta è quello del ranocchio trasformato in principe da un bacio.
La rappresenta e la porta avanti, inculcandola e diffondendola.

Si tratta di uno stereotipo inventato nell'ottocento quando le suffragette cominciavano a rivendicare diritti per le donne, La fiaba originale venne trasformata in questa versione ingabbiante.

Nella fiaba originale la principessa lancia il ranocchio contro il muro!

Se concretamente si vuol far qualcosa, si comincia dallo smascherare la falsità dello stereotipo!

(vedi ...http://www.lefiabesanno.com/2012/01/il-principe-ranocchio-riflessioni-e.html)


riflessioni e considerazioni: Storia di uno che se ne andò in cerca della paura

Riflessioni e considerazioni Storia di uno che se ne andò in cerca della paura


Inserisco velocemente questa fiaba nel blog perché è Halloween e una mamma ha appena fatto presente che il suo bimbo ha paura di questa festa.

Premesso che Halloween non è nata come festa per i bimbi. In epoca Pre-Cristiana per i Celti era la festa più importante, e ci sono tradizioni precedenti.

Non porto ora vere e proprie riflessioni e considerazioni né sulla fiaba né parlerò ora di Halloween.

Mi limito a proporre il racconto di questa fiaba quando i bimbi mostrano paure.

Perché? Perché seguendo il protagonista ci si interroga, senza neppure rendersene conto, su cosa sia davvero la paura.
Nel concreto è un atteggiamento mentale accompagnato da sensazioni fisiche, come tremori e brividi freddi.
Questa è una fiaba di estrema saggezza. Ora non approfondirò ulteriormente, lascio ad ogni adulto la possibilità di raccontarla ai propri bambini.








Storia di uno che se ne andò in cerca della paura

(vedi Riflessioni e considerazioni: Storia di uno che andò in cerca della paura)


Un padre aveva due figli. Il maggiore era giudizioso e prudente e sapeva cavarsela in ogni situazione, mentre il minore era stupido, non imparava né‚ capiva nulla e quando la gente lo incontrava diceva: "Sarà un bel peso per il padre!" Se c'era qualcosa da fare, toccava sempre al maggiore; ma se il padre lo mandava a prendere qualcosa di sera o addirittura di notte, e la strada passava vicino al cimitero o a qualche luogo terrificante, egli rispondeva: "Ah, padre mi viene la pelle d'oca!," poiché‚ era pauroso. Oppure quando di sera, accanto al fuoco, si raccontavano delle storie da far rabbrividire, coloro che ascoltavano dicevano a volte: "Ah mi viene la pelle d'oca!" Il minore se ne stava seduto in un angolo, ascoltava e non capiva che cosa ciò potesse significare. "Dicono sempre: mi viene la pelle d'oca! mi viene la pelle d'oca! A me non viene: sarà anche questa un'arte di cui non capisco niente."


Un bel giorno il padre gli disse: "Ascolta, tu in quell'angolo diventi grande e grosso, ed è ora che impari a guadagnarti il pane. Guarda come si dà da fare tuo fratello; ma con te è fatica sprecata." - "Sì padre," egli rispose, "vorrei imparare qualcosa; anzi, se fosse possibile, mi piacerebbe imparare a farmi venire la pelle d'oca; di questo non so proprio nulla." Il fratello maggiore rise nell'udirlo e pensò fra s': "Mio Dio, che stupido è mio fratello, non se ne caverà mai nulla. Il buon giorno si vede dal mattino." Il padre sbuffò e gli rispose: "La pelle d'oca imparerai ad averla, ma con questo non ti guadagnerai il pane."

Poco tempo dopo venne a fare loro visita il sagrestano; il padre gli confidò i suoi guai e gli raccontò che il figlio più giovane era maldestro in ogni cosa, non sapeva e non imparava nulla. "Pensate, quando gli ho chiesto in che modo voleva guadagnarsi il pane, ha risposto che voleva imparare a farsi venire la pelle d'oca!" - "Oh!" rispose il sagrestano, "può impararlo da me; affidatemelo, lo sgrosserò." Il padre era contento perché‚ pensava che il giovane avrebbe messo giudizio. Così il sagrestano se lo portò a casa ed egli dovette suonargli le campane. Un paio di giorni dopo lo svegliò a mezzanotte, gli ordinò di alzarsi, di salire sul campanile e di suonare. "Imparerai che cos'è la pelle d'oca!" pensava e, per fargli prendere un bello spavento, lo precedette di nascosto e si mise davanti allo spiraglio della porta: il giovane doveva credere che fosse un fantasma. Questi salì tranquillamente fino in cima al campanile, e quando fu sopra vide una figura nello spiraglio. "Chi è là?" gridò, ma la figura non rispose n‚ si mosse. Allora gli disse: "Che vuoi qui di notte? Vattene o ti butto giù." Il sagrestano pensò: "Non avrà intenzioni così malvagie," tacque e restò immobile. Il giovane lo interpellò per la terza volta e, siccome non ottenne nessuna risposta, prese la rincorsa e buttò giù il fantasma che si ruppe le gambe e il collo. Suonò poi le campane e, subito dopo, discese e si rimise a dormire senza dire una parola. La moglie del sagrestano attese a lungo il marito, ma quello non veniva mai. Alla fine si spaventò, svegliò il giovane e disse: "Non sai dov'è mio marito? E' salito con te sul campani le." - "No," rispose il ragazzo, "ma c'era un tale nello spiraglio, e siccome non se ne andava e non voleva rispondermi, l'ho buttato giù. Andate a vedere se è lui." La donna corse al camposanto, piena di paura, e trovò il marito che giaceva per terra, morto.

Allora si recò urlando dal padre del ragazzo, lo svegliò e disse: "Ah, che sciagura ha causato il vostro fannullone! Ha buttato giù mio marito dal campanile, e ora giace morto al camposanto." Il padre si spaventò, corse dal ragazzo e gli disse, rimproverandolo aspramente: "Queste empietà deve avertele ispirate il Maligno!" - "Ah padre!" rispose egli, "sono innocente: se ne stava là di notte, come uno che ha cattive intenzioni. Io non sapevo chi fosse e gliel'ho domandato tre volte; perché‚ non se n'è andato?" - "Ah," disse il padre, "da te ho soltanto dei dispiaceri, togliti dai piedi, non ti voglio più vedere." - "Sì padre, volentieri, aspetta solo che faccia giorno e me ne andrò, e imparerò che cosa sia avere la pelle d'oca, così conoscerò un'arte che mi darà da mangiare." - "Impara quel che ti pare," disse il padre, "per me fa lo stesso. Eccoti cinquanta scudi, prendili e sparisci dalla mia vista; e non dire a nessuno da dove vieni e chi è tuo padre, perché‚ mi vergogno di te." - "Sì padre, come volete; se non chiedete altro, posso ben tenerlo a mente."

Allo spuntar del giorno, il giovane si mise in tasca i suoi cinquanta scudi e se ne andò sulla via maestra dicendo fra s': "Ah, se mi venisse la pelle d'oca! Se mi venisse la pelle d'oca!" Lo raggiunse un uomo che sentì questo discorso; quando ebbero fatto un pezzo di strada e furono in vista della forca, questi disse al ragazzo: "Vedi, quello è l'albero su cui sette uomini hanno sposato la figlia del funaio: siediti là sotto e aspetta che venga notte, allora imparerai che cos'è la pelle d'oca." - "Se è tutto qui," rispose il giovane, "è presto fatto; se imparo così in fretta che cos'è la pelle d'oca, avrai i miei cinquanta scudi: ritorna da me domani mattina presto." Il giovane andò allora alla forca, vi si sedette sotto e attese la sera. Poiché‚ aveva freddo, accese un fuoco; ma a mezzanotte il vento soffiava così gelido che egli non riusciva a scaldarsi nonostante il fuoco. Quando il vento spinse gli impiccati l'uno contro l'altro facendoli oscillare su e giù, egli pensò: "Tu geli qui accanto al fuoco, chissà che freddo hanno quelli lassù! E come si dimenano!" E siccome era di buon cuore, appoggiò la scala alla forca, salì, li staccò a uno a uno e li portò giù tutti e sette. Poi attizzò il fuoco, ci soffiò sopra e ci sedette intorno gli impiccati perché‚ si scaldassero. Ma essi se ne stavano seduti senza muoversi e il fuoco si appiccò ai loro vestiti. Allora egli disse: "Fate attenzione, altrimenti vi riappendo di nuovo lassù." Ma i morti non sentivano, tacevano e continuavano a lasciar bruciare i loro stracci. Perciò egli andò in collera e disse: "Se non volete fare attenzione, io non posso aiutarvi: non voglio bruciare con voi." E li riappese l'uno dopo l'altro. Poi si sedette accanto al fuoco e si addormentò. Il mattino dopo venne l'uomo che voleva i cinquanta scudi e disse: "Hai imparato che cos'è la pelle d'oca?" - "No," rispose egli. "Come avrei potuto impararlo? Quelli lassù non hanno aperto bocca, e sono così stupidi da lasciar bruciare quei due vecchi stracci che hanno addosso." L'uomo capì che per quel giorno non poteva prendersi i cinquanta scudi, se ne andò e disse: "Non mi è mai capitato di incontrare un tipo simile."

Anche il giovane andò per la sua strada e ricominciò a dire fra s': "Ah, se mi venisse la pelle d'oca! Se mi venisse la pelle d'oca!" L'udì un carrettiere che camminava dietro di lui e domandò: "Chi sei?" - "Non lo so," rispose il giovane. Il carrettiere domandò ancora: "Da dove vieni?" - "Non lo so." - "Chi è tuo padre?" - "Non posso dirlo." - "Che cosa vai borbottando fra i denti?" - "Ah," rispose il giovane, "vorrei farmi venire la pelle d'oca, ma nessuno sa insegnarmelo." - "Piantala di dire sciocchezze," disse il carrettiere. "Vieni con me, ti troverò un posto di lavoro." Il giovane andò con il carrettiere e la sera giunsero a un'osteria dove volevano pernottare. Entrando egli disse ad alta voce: "Se mi venisse la pelle d'oca! Se mi venisse la pelle d'oca!" L'oste, all'udirlo, disse ridendo: "Se ne hai tanta voglia, qui ci sarebbe una bella occasione!" - "Ah taci!" disse l'ostessa. "Troppi audaci hanno già perso la vita. Sarebbe un vero peccato se quei begli occhi non dovessero rivedere la luce del giorno!" Ma il giovane disse: "Anche se è difficile, voglio impararlo una buona volta: me ne sono andato di casa per questo." Non lasciò in pace l'oste finché‚ questi non gli raccontò che nelle vicinanze c'era un castello fatato, dove si poteva imparare benissimo che cosa fosse la pelle d'oca, purché‚ ci si vegliasse tre notti. A chi aveva tanto coraggio, il re aveva promesso in isposa sua figlia, la più bella fanciulla che esistesse al mondo. Nel castello erano inoltre celati dei favolosi tesori custoditi da spiriti, e sarebbero diventati di proprietà di chi avesse superato la prova. Già molti erano entrati nel castello, ma nessuno ne era uscito. Il mattino dopo, il giovane si presentò al re e disse: "Se fosse possibile vorrei vegliare tre notti nel castello fatato." Il re lo guardò e siccome gli piacque disse: "Puoi chiedermi anche tre cose e portarle con te al castello, ma devono essere cose prive di vita." Allora egli rispose: "Chiedo un fuoco, un tornio e un banco da ebanista con il suo coltello."

Il re gli fece portare ogni cosa al castello durante il giorno All'imbrunire il giovane vi entrò, si accese un bel fuoco in una stanza, vi mise accanto il banco da ebanista con il coltello, e si sedette sul tornio. "Ah, se mi venisse la pelle d'oca!" disse egli. "Ma non lo imparerò neanche qui." Verso mezzanotte volle attizzare il fuoco; mentre ci soffiava sopra, udì all'improvviso gridare da un angolo: "Ohi miao! che freddo abbiamo!" - "Scimuniti," esclamò, "perché‚ gridate? Se avete freddo, venite, sedetevi accanto al fuoco e scaldatevi." Come ebbe detto questo, due grossi gatti neri si avvicinarono d'un balzo e gli si sedettero ai lati guardandolo ferocemente con i loro occhi di fuoco. Dopo un poco, quando si furono scaldati, dissero: "Camerata, vogliamo giocare a carte?" - "Sì," egli rispose, "ma mostratemi le zampe." Essi allora tirarono fuori gli artigli "Oh," egli disse "che unghie lunghe avete! Aspettate, devo prima tagliarvele!" Li afferrò allora per la collottola, li mise sul banco ed imprigionò loro le zampe. "Vi ho tenuti d'occhio," disse, "e mi è passata la voglia di giocare a carte." Li uccise e li gettò in acqua. Ma aveva appena tolto di mezzo quei due e stava per sedersi accanto al fuoco, quando sbucarono da ogni parte cani e gatti neri, attaccati a catene infuocate; erano tanti ma tanti che egli non sapeva più dove cacciarsi. Gridavano terribilmente, gli calpestavano il fuoco, disperdevano le braci e volevano spegnerlo. Per un po' stette a guardare tranquillamente, ma quando incominciò a sentirsi a mal partito, afferrò il coltello, gridò: "Finiamola, canaglia!" e si gettò su di loro. Alcuni balzarono via, gli altri li uccise e li buttò nello stagno. Come fu di ritorno, riattizzò il fuoco soffiando sulla brace e si scaldò. E, mentre se ne stava così seduto, si accorse che non riusciva più a tenere gli occhi aperti e che aveva voglia di dormire. Allora guardò intorno a s‚, vide un gran letto in un angolo e ci si coricò. Ma come volle chiudere gli occhi, il letto incominciò a muoversi da solo e andò a spasso per tutto il castello. "Benissimo," disse il giovane, "ancora più in fretta!" Allora il letto incominciò a rotolare su e giù per soglie e scale, come se fosse trainato da sei cavalli; d'un tratto, hopp, hopp, si ribaltò a gambe all'aria, e gli restò addosso.

Allora egli scagliò in aria coperte e cuscini, saltò fuori e disse: "Adesso vada a spasso chi ne ha voglia!" si distese accanto al fuoco e dormì sino a giorno. Al mattino venne il re e quando lo vide disteso a terra pensò che fosse morto e che gli spettri lo avessero ucciso. Allora disse: "Peccato! Un così bel ragazzo!" Il giovane lo udì, si rizzò e disse: "Non siamo ancora a questo punto!" Il re si stupì e, tutto contento, gli domandò com'era andata. "Benissimo" rispose egli "la prima notte è passata e passeranno anche le altre due!" Quando tornò dall'oste, questi fece tanto d'occhi e disse: "Non pensavo di rivederti ancora vivo; hai imparato finalmente che cos'è la pelle d'oca?" - "No," rispose il giovane, "non lo so; se solo qualcuno me lo dicesse!"

La seconda notte salì di nuovo al vecchio castello, si sedette accanto al fuoco e disse: "Se mi venisse la pelle d'oca!" Verso mezzanotte sentì un rumore e un tramestio, prima piano, poi sempre più forte; poi un breve silenzio, infine un mezzo uomo cadde dal camino urlando, e gli piombò davanti. "Olà!" esclamò, "ce ne vuole ancora metà, così è troppo poco." Allora il rumore ricominciò, si udì strepitare e urlare, e anche la seconda metà cadde giù. "Aspetta," disse, "voglio attizzarti un po' il fuoco." Quando ebbe finito e si guardò nuovamente intorno, i due pezzi si erano riuniti e un omaccio orribile sedeva al suo posto. "Non intendevo dir questo," disse il giovane, "il banco è mio." L'uomo voleva respingerlo, ma il giovane non lo lasciò fare, lo spinse via con forza e si risedette di nuovo al suo posto. Allora caddero giù altri uomini che avevano nove stinchi e due teschi, li rizzarono e giocarono a birilli. Anche al giovane venne voglia di giocare e domandò: "Sentite, posso giocare anch'io?" - "Sì, se hai denaro." - "Di denaro ne ho a sufficienza" rispose "ma le vostre palle non sono ben rotonde." Allora egli prese i teschi, li mise sul tornio e li arrotondò. "Adesso rotoleranno meglio!" disse. "Olà, ora ci divertiremo!" Giocò e perse un po' di denaro, ma quando suonò mezzanotte tutto sparì davanti ai suoi occhi. Si distese e si addormentò tranquillamente. Il mattino dopo venne il re a informarsi: "Come ti è andata questa volta?" domandò. "Ho giocato a birilli" rispose "e ho perduto qualche soldo." - "Non ti è venuta la pelle d'oca?" - "macché‚" disse "me la sono spassata; se solo sapessi che cos'è la pelle d'oca!"

La terza notte sedette di nuovo al suo banco e diceva tutto malinconico: "Se mi venisse la pelle d'oca!" A notte inoltrata, giunsero sei omacci che portavano una cassa da morto. Allora egli disse: "Ah, ah, è sicuramente il mio cuginetto che è morto qualche giorno fa." Fece un cenno con il dito e gridò: "Vieni, cuginetto, vieni!" Misero la bara a terra, ma egli si avvicinò e tolse il coperchio: dentro c'era un morto. Gli toccò il viso, ma era freddo come il ghiaccio. "Aspetta," disse, "ti voglio riscaldare un po'." Andò al fuoco, si riscaldò la mano e gliela mise sul viso, ma il morto rimase freddo. Allora lo tirò fuori, si sedette davanti al fuoco, se lo prese sulle ginocchia e gli strofinò le braccia per riscaldarlo, Ma siccome anche questo non servì a nulla, gli venne un'idea: "Se due sono a letto insieme, si riscaldano." Lo portò a letto, lo coprì e gli si distese accanto. Dopo un po' anche il morto fu caldo e incominciò a muoversi. Allora il giovane disse: "Vedi, cuginetto, se non ti avessi scaldato!" Ma il morto prese a dire: "Adesso ti voglio strozzare." - "Cosa?" disse egli. "E' questa la mia ricompensa? Torna pure nella tua bara!" Lo sollevò, ce lo buttò dentro e chiuse il coperchio: ritornarono i sei uomini e lo portarono via. "Non mi vuol venire la pelle d'oca," egli disse, "qui non l'imparerò mai."

Allora entrò un uomo, che era più grosso di tutti gli altri e aveva un aspetto terribile; ma era vecchio e aveva una lunga barba bianca. "Oh tu, nanerottolo, imparerai presto che cos'è la pelle d'oca perché‚ devi morire." - "Non così in fretta!" egli rispose. "Per morire devo esserci anch'io." L'uomo disse: "Ti prenderò!" - "Piano, non darti tante arie; sono forte quanto te, e forse anche di più." - "Lo vedremo," disse il vecchio, "se sei forte più di me, ti lascerò andare; vieni, proviamo." Attraverso passaggi oscuri, lo condusse a una fucina, prese un'accetta e con un colpo sbatté‚ a terra un'incudine. "So fare di meglio," disse il giovane e andò all'altra incudine; il vecchio gli si mise accanto per vedere, con la barba bianca penzoloni. Il giovane afferrò allora l'accetta, con un colpo spaccò l'incudine e vi serrò dentro la barba del vecchio. "Ora ti ho in pugno!" disse il ragazzo. "Adesso tocca a te morire." Afferrò una sbarra di ferro e percosse il vecchio fino a che questi si mise a piagnucolare e lo pregò di smettere: gli avrebbe dato dei grossi tesori. Il giovane estrasse allora l'accetta e lasciò libero il vecchio che lo ricondusse al castello e gli mostrò in una cantina tre casse colme d'oro. "Di quest'oro," disse, "una parte è dei poveri, l'altra del re, la terza è tua." In quel momento suonò mezzanotte e lo spirito scomparve, sicché‚ il giovane si trovò al buio. "Me la caverò ugualmente," disse; a tastoni trovò il cammino che lo condusse alla sua stanza, dove si addormentò accanto al fuoco. Il mattino dopo venne il re e disse: "Ora avrai imparato che cos'è la pelle d'oca!" - "No," rispose, "che roba è questa? E' stato qui mio cugino morto ed è venuto un vecchio barbuto che mi ha mostrato molto denaro là sotto, ma che cosa sia la pelle d'oca non me l'ha insegnato nessuno." Il re disse: "Hai sciolto l'incantesimo del castello e sposerai mia figlia." - "Tutto questo va benissimo, ma io continuo a non sapere che cos'è la pelle d'oca."

L'oro fu portato su e si celebrarono le nozze, ma il giovane re, per quanto amasse la sua sposa e fosse felice con lei, diceva sempre: "Se mi venisse la pelle d'oca! Se mi venisse la pelle d'oca!" La sposa finì coll'infastidirsi. Allora la sua cameriera disse: "Ci penserò io: imparerà che cos'è la pelle d'oca!" Uscì e fece riempire un secchio di ghiozzi. Di notte, mentre il giovane re dormiva, sua moglie gli tolse la coperta e gli rovesciò addosso il secchio pieno di acqua gelata con i ghiozzi, cosicché‚ i pesciolini gli guizzarono intorno. Allora egli si svegliò e gridò: "Ah, che pelle d'oca, che pelle d'oca, moglie mia! Sì, ora so cos'è la pelle d'oca."



(vedi Riflessioni e considerazioni: Storia di uno che andò in cerca della paura)

Risposta a Rose che parla di edonismo a proposito della cicala

L'obiettivo è che la riflessione non sia mai scontata, e soprattutto che non sia solo mia.
Scrivo per proporre stimoli a continuare, approfondire, spremere ogni pensiero per ottenere tutto quel che può dare.

Sono molto grata a Rose per avermi letto, per aver focalizzato un aspetto specifico e per avermi spinta a scrivere questi ulteriori punti.
Grazie

Riporto il commento di Rose al post sulla favola "Una favola dannosa "La formica e la cicala""

"Però, neanche una società edonistica come quella attuale... Forse una via di mezzo tra la troppa dedizione al lavoro e la sola ricerca del divertimento sarebbe auspicabile. E la capacità di godere delle piccole cose... ma di godere davvero. E di realizzarsi in un lavoro che ci piace (difficile, oggi come oggi, ma è pur vero che molti misurano la soddisfazione del lavoro unicamente su quanto viene retribuito). Sarebbe un discorso lungo, ma grazie per la tua riflessione, interessante e non scontata. :-)
Rose "

E di seguito la mia risposta

"Grazie per l'intervento Rose,
è questo tipo di possibilità di dialogo e di stimolo che mi piace ricevere e che secondo me sarebbe bello portare avanti.

Edonismo in che senso? come ricerca del piacere fine a se stesso?
1) non è ciò che intendono le parole del Discorso della Montagna.
2) non tutti coloro che hanno usato la parola edonismo le hanno dato il significato di ricerca del piacere fine a se stesso.

3) Cos'è il piacere?

5) Davvero la nostra società punta al piacere?
Se trovi che "molti misurano la soddisfazione del lavoro unicamente su quanto viene retribuito" e che "realizzarsi in un lavoro che ci piace [è] difficile, oggi come oggi", stai di fatto dicendo che la nostra è una società incentrata sul non avere vera soddisfazione e non riuscire a fare quello che piace, in particolare nel lavoro.
6) Davvero oggi è difficile fare un lavoro che piace?
In passato si nasceva in ambienti e famiglie che già erano il lavoro e il destino, sia chi era ricco che chi era povero aveva molti più limiti di ognuno di noi oggi al punto che gli era di fatto impossibile immaginare che ci fosse la possibilità di volere altro.
7) Per approfondire il tema della "sola ricerca del divertimento" ci sarebbero delle fiabe specifiche di cui parlare.

8) L'edonista inteso come colui che brama ad accapparrare cose per lui gustose e gratificanti, a me fa pensare più alla formica che in inverno sbatte la porta perchè ciò che ha è tutto suo.


Grazie di nuovo Rose per l'interesse.

Marilena

Il principe delle fiabe non è né forte né capace

Uno dei malintesi sulle fiabe è il convincimento che il principe sia un personaggio attivo, che il protagonista maschile conquisti principessa e reame grazie alla propria forza e virtù.
Non è così! 


Spesso, come ne “I sei cigni”, il ruolo forte e coraggioso è femminile e, nonostante i luoghi comuni, il protagonista maschile in generale non è in grado di superare le prove, non ha le abilità per farlo e nonostante le indicazioni sbaglia, fallisce, si confonde.

Alla fine trionfa solo perché qualcuno decide di aiutarlo, perché trova un oggetto magico, perché non si fa scrupolo di imbrogliare o semplicemente per caso. 

In "Raperonzolo" viene irrimediabilmente sconfitto e accecato dalla maga, poi, solo per caso capita nel deserto in cui si trova la fanciulla ed è lei a riconoscerlo e restituirgli la vista con le proprie lacrime.

In “Il principe e la principessa” è lei che in segreto svolge i compiti impossibili che il re ha assegnato a lui, è lei che ha le conoscenze per riuscire nella fuga risolutiva, è lei che prevede la trappola di oblio, lui cadrà in trappola nonostante gli avvertimenti ed allora è ancora lei che riesce a ridestarlo. 

Questi stessi motivi, si ritrovano ne “Le tre piume”, ne “Il corvo” ed in molte altre. 

Ovvero 
lo stereotipo di supremazia maschile nelle fiabe non c’è!

“Il piccolo principe”? ... è il racconto di un suicidio...


Può darsi che qualcuno pensi di regalare “Il piccolo principe” ad un ragazzino senza rendersi conto che si tratta del racconto di un suicidio.

Si usa regalare questo libro in occasione di comunioni cresime, ci sono insegnanti che insistono perché venga letto, in particolare dai nove ai tredici anni.

Ma di fatto, per tornare alla stella, il piccolo principe si uccide!
“Non posso portare appresso il mio corpo. È troppo pesante”.

La fine dell’infanzia, la pubertà, l’adolescenza sono tempi di grandi turbamenti.
Il corpo va avanti per conto suo, irriconoscibile e sproporzionato. L’anoressia e la bulimia sono un rifiuto di quel corpo. Inadeguati ci si assoggetta alle regole, scegliendo come modelli veline e tronisti o gli eccessi degli emo, dei punk, dei metal che tanto somigliano a “Dognipelo” e “Pelle d’asino”.
Si va avanti tra tentativi di uniformarsi e ribellione, scatti e chiusure, con la disperazione di sentirsi soli, come Saint Exupéry quando mostra il disegno del boa che ha divorato l’elefante, ci si sente inesorabilmente rispondere “è un cappello”.
Mi domando: in quei momenti quanto è opportuno il racconto di un suicidio?
 

La pappa dolce ... Perché ci tengo tanto?

Nella vita siamo abituati che manchi sempre qualcosa: il lavoro, i mezzi, le conoscenze, le opportunità, il tempo, i soldi, le risorse.
Se ci viene un'idea e per un istante immaginiamo che possa andar bene, subito ci rimproveriamo d'esser poco realisti e ci elenchiamo una serie di valide ragioni che ci riportano ad un solido pessimismo, ma se non si riesce nemmeno ad immaginare altre prospettive è impossibile combinar qualcosa, si parte sempre col piede sbagliato.
Carenze e limitazioni dipendono dal considerare solo ciò che già si conosce, guardare le cose da un'unica prospettiva, ponendosi delle restrizioni.

Perché ci tengo tanto a che "La pappa dolce" venga raccontata più e più volte ad un bambino fin da piccolo?
Perché crescendo accanto a sé avrà sempre qualcuno pronto a trasmettergli insicurezze e inibizioni, faranno a gara a contagiarlo con le proprie paure insegnandogli rassegnazione e miseria a colpi di "non puoi", per questo ci tengo a che nel profondo in qualche modo sappia del pentolino e di tutta quella pappa.
link alla fiaba:
La pappa dolce
Sweet porridge
Gachas dulces
Le bon gruau


link all'intero commento Riflessioni e considerazioni

Las Aganes

Las aganes nella tradizione friulana sono creature magiche che vivono là dove ci sono fonti o corsi d'acqua.
Me ne ha parlato l'altro ieri una studiosa, Maria Sferrazza.

In friulano "Aghe" significa acqua e "las" corrisponde a "le", (ovvero è l'articolo identificativo plurale femminile).

Donne bruttissime e pericolose, streghe (in friulano "stries"), di cui aver paura. Lavano panni bianchi di notte. Essendo maledette, quando le campane della chiesa suonano, non possono  muoversi e allora scalpicciano rabbiose incidendo con le impronte dei piedi il terreno o la pietra su cui si trovano.
In alcuni luoghi sono dette las fatis (le fate). E prima dell'avvento del cristianesimo erano considerate bellissime.

Sono difatti ondine. Antiche divinità celtiche dell'acqua.

Per respingerne il culto, poco a poco vennero loro assegnati i peggiori attributi.


Ho chiesto a mia madre. La parola "agana" non le dice niente, m'ha solo confermato che la nonna Milie (mia bisnonna) raccontava storie di streghe.  Strano perché proprio nella sua borgata d'origine pare ci siano  impronte di agana.

E strano che a me non abbiano mai raccontato nulla, da piccola chiedevo sempre "raccontami una storia".
Sono sempre stata affamata di fiabe, miti e leggende, contengono una conoscenza confusamente portata avanti, secolo dopo secolo, millennio dopo millennio, da chi non ha le chiavi per capirla.

Il danno avviene quando la trasmissione è interrotta.