Perchè NON racconterei MAI Andersen ad un bambino: "La Piccola Fiammiferaia"


Ci sono fiabe che non andrebbero mai raccontate ai bambini.


Ciò che intendo probabilmente è l’esatto contrario di quel che si pensa di solito, perché intendo dire:

Le fiabe tradizionali che parlano di teste mozzate, mostri, punizioni impietose non fanno alcun male, anzi scrivo riflessioni e considerazioni proprio per cercare di convincere a raccontarle così come sono senza tagli o alterazioni,

ci sono invece fiabe dolci e delicate che non andrebbero mai raccontate ai bambini e mi riferisco ad alcune delle più famose di Andersen, come “La piccola fiammiferaia”, “Il soldatino di piombo”, “La Sirenetta”.


Ovviamente non sto parlando del romanzetto rosa in cui la Disney trasformato “La Sirenetta”, né del “Toy story” che ha tirato fuori da “Il soldatino di piombo”, né del cartone animato giapponese ispirato a “La piccola fiammiferaia”.

Mi riferisco a quel che ha scritto Andersen. Vera poesia, fiabe bellissime, che vengono proposte ai bambini senza far caso alle idee che trasmettono. 

Comincio parlando de “La piccola fiammiferaia”, la riassumo in breve:


Nel gelo della notte di San Silvestro una povera bimba venditrice di fiammiferi non ha il coraggio di tornare a casa perché non è riuscita a vendere nulla e la riempirebbero di botte.
Ignorata dalla gente che festeggia il Natale, si accuccia in un angolo della strada, cerca di scaldarsi accendendo un fiammifero dopo l’altro e si consola immaginando cibo, una casa calda e accogliente, la nonna morta, che è la sola persona ad averle voluto un po’ di bene, a cui chiede di portarla con sé. E si lascia morire.

Qualsiasi bambino ha paura della solitudine, d’essere abbandonato, di non essere amato. Facendo leva su queste paure questa fiaba lo coinvolge emotivamente per poi, quando è al colmo dell'impressionabilità, presentargli la morte come unica conclusione.
Non offre altre possibilità. 

Ogni fiaba rappresenta un’esperienza che può essere vissuta da chiunque indipendentemente dall’età e dall'epoca.
"La Piccola Fiammiferaia" è l’esperienza della solitudine peggiore, di quando si sa che di noi non importa nulla a nessuno e non ci resta che rannicchiarci in un angolo ignorati da tutti.
La vive il venditore che ha mancato il budget; l’artigiano che si vede chiudere i fidi e pignorare le macchine; il disoccupato che subisce l’ennesimo rifiuto e non ha il coraggio di tornare a casa.
“La Piccola Fiammiferaia” racconta quest’esperienza e traccia l’idea che non ci sia altro da fare che lasciarsi morire.

Una fiaba che si conclude con rassegnazione e morte, e per di più è bella e commovente, lascia un messaggio distruttivo che si radica nel profondo.
Le fiabe rappresentano esperienze e danno modelli, costruiscono qualcosa dentro di noi, nell'intimo. Quando si vive un momento di sconforto e difficoltà, se manca la convinzione che sia possibile trovare una soluzione, peggio se c'è l'idea della rinuncia e della morte, com'è possibile farcela?

Non a caso in questo blog ho presentato "La pappa dolce" che parla di miseria e fame, "L'oca d'oro" che parla di emarginazione, "Le tre filatrici" che parla dell'incapacità di soddisfare i compiti richiesti.
Proprio perché possono aiutare nei momenti peggiori, ho riportato i testi corredandoli con i miei acquarelli e con le mie riflessioni.
("Riflessioni e considerazioni" sono rivolte agli adulti, NON ai bambini! Per il bambino c'è la fiaba. La magia non va rovinata con aggiunte, spiegazioni, adattamenti.).
Non illustro e non inserisco il testo completo né de "La piccola fiammiferaia" né delle altre fiabe di Andersen di cui parlerò nei prossimi post, prorpio perchè non vorrei mai che queste arrivassero ai bambini.

Ci sono fiabe della tradizione popolare che affrontano temi più pesanti di quelli de “La piccola fiammiferaia”. Molte hanno portato fino a noi argomenti che per la storia ufficiale sono tabu, cose vergognose che i cronisti dell’Europa medioevale hanno documentato come fenomeni diffusi, orrori quali l’abbandono dei minori, l’infanticidio e persino il cannibalismo (in particolare durante la grande carestia 1315-1317) che la storia è riuscita a nascondere. Ma le fiabe hanno continuato a raccontarli:
“Hansel e Gretel” parla d’abbandono dei minori e cannibalismo, “Cappuccetto Rosso” di cannibalismo e pedofilia,“Dognipelo” parla d’incesto.

Queste ed altre fiabe hanno continuato a raccontare che ci sono bambini a cui capitano cose orribili. Però hanno continuato a dire che alla fine Cappuccetto Rosso ha la meglio sul lupo, che Hansel e Gretel bruciano la strega e tornano a casa carichi d’oro, che Dognipelo alla fine regna da regina, felice accanto al suo re.

Con i loro lieti fini fanno in modo di costruire la convinzione profonda che, per quanto spaventose e buie possano essere le situazioni, la conclusione può essere bella. Per questo vanno raccontare.

Del resto perché considerare più vere le storie che vanno a finir male?
Nella realtà ci sono bambini poveri e orfani diventati ricchissimi. 
Leonardo Del Vecchio, il patron di Luxottica, era un martinitt (ovvero un orfanello di Milano), così come era un martinitt il grande Angelo Rizzoli. Quindi perché dovrebbe essere più vera "La Piccola Fiammiferaia" col suo pessimismo distruttivo delle coraggiosissime "Hansel e Gretel", "Cappuccetto Rosso", "Dognipelo"?
E perché raccontare una fiaba che inculca rassegnazione e pessimismo,  quando ce ne sono altre che, senza cadere nel sentimentalismo fine a se stesso, raccontano cose tremende ma si concludono con "e vissero felici e contenti"?

Nel prossimo post continuerò con "Il soldatino di piombo"...