Perché NON racconterei MAI ad un bambino "Il Soldatino di Piombo" di Andersen

Non riporto nel blog il testo della fiaba “Il Soldatino di Piombo” perché non vorrei venisse semplicemente trovata e raccontata.

È una fiaba con giocattoli e avventure che sembrano corse al luna park, che attira in un mondo grazioso, però poi all’improvviso mostra la visione cruda dell’annientamento. Soldatino e ballerina finiscono bruciati, tra la cenere di loro resta solo un grumo di piombo ed un lustrino annerito. Solo materia.

La storia è raccontata in termini di fenomeni naturali: colpi di vento, combinazioni, capricci. Niente fate o omini misteriosi, niente leprotti marini o chissà quali animali sorprendenti, niente pentolini o altri oggetti magici. Viene considerato solo ciò che è materialmente tangibile, la fiaba vuol essere razionale, nulla di fatato, la realtà è quella che è e se non ci sono vie d’uscita non ci sono concessioni al prodigioso.

Ma la pretesa di razionalità è sbilanciata e imparziale,  non è ammesso il soprannaturale amico, ma quello cattivo sì.
La fiaba insinua il sospetto di una regia occulta, di una volontà potente e malvagia alla guida del caso. Insiste che le disgrazie del soldatino siano volute dal troll, un giocattolo a molla che sta nella tabacchiera.
La prima notte, vedendo il soldatino guardare la ballerina, il troll dice: “Smettila di guardare gli altri!” poi “Aspetta domani e vedrai!”.
L’indomani, quando il soldatino cade dalla finestra, la fiaba commenta: “non so se fu il troll o una folata di vento”.
Il soldatino trascinato dall’acqua pensa: "Sì, tutta colpa del troll!”.
E alla fine la fiaba dice che un bambino getta nel fuoco il soldatino proprio senza alcun motivo, sicuramente era colpa del troll della tabacchiera”.

Razionalmente nulla prova che il troll influenzi gli eventi, potrebbe trattarsi solo di suggestione, ma la fiaba non se ne accorge.
Con la pretesa della razionalità la fiaba apre una breccia in cui deposita l’idea dell’occulto insensato, inesorabile, malvagio.

Le fiabe di Andersen e le fiabe della tradizione popolare

È strano che le fiabe di Andersen vengano assimilate a quelle della tradizione popolare. 

Le fiabe della tradizione popolare
tramandate oralmente nell’area germanica e francese, furono oggetto dell’imponente lavoro di ricerca e trascrizione svolto dai fratelli Grimm nei primi decenni dell’ottocento. Lo stesso lavoro fu poi portato aventi da Afanasyev per la Russia e successivamente da Calvino per l’Italia. 
Si tratta di racconti che hanno superato censure di secoli se non millenni, nascondendo tra le loro assurdità istruzioni per superare l’impossibile
Le fiabe di Andersen sono nate in un preciso momento storico ed a quello sono legate.

Andersen pubblicò “Il soldatino di piombo” nel 1838, la pubblicazione delle sue fiabe, indubbiamente bellissime e frutto della sua grande sensibilità, va dal 1835 al 1872.
Un periodo che, probabilmente a causa del romanticismo che lo permeava, è entrato a far parte di un immaginario fatto di donne che preparavano cose buone tra il profumo della lavanda e delle mele cotogne e di bambini con giocattoli di legno costruiti dai papà,

In realtà a quei tempi 13 -15 ore di lavoro alla catena di montaggio erano la norma anche per donne e bambini a partire dai sei anni, se non dai quattro.

Per l'Europa erano anni di sommosse e repressioni.
Il 1815 aveva visto la sconfitta di Napoleone, il 1848 fu l’anno delle rivoluzioni.
Erano tempi di carestie con la gente che emigrava in massa in America.
Dal 1848 al 1855 la California visse la febbre dell’oro.
Dal 1845 al 1849 l’Irlanda fu ridotta alla disperazione dalla moria delle patate.
Il 1816 fu “l’anno senza estate” detto anche “della miseria”,
nel nord dell’Europa e dell’America continuò ad esserci ghiaccio e cadere neve anche da maggio ad agosto e non ci furono raccolti.
In vacanza in Svizzera, costretti al chiuso dal maltempo in quell'estate che non c'era, Lord Byron e i suoi amici organizzarono una gara di racconti dell’orrore e fu così che John Polidori scrisse Il vampiro mentre Mary Shelley, impressionata le teorie di Darwin, scrisse Frankenstein.
Il 1816 fu anche l’anno in cui morì il padre di Andersen.
Era tornato malato dall’esercito di Napoleone.
L’uniforme rossa e blu tanto importante per il soldatino, mi fa pensare quanto
è risaputo, Napoleone ci tenesse all’equipaggiamento e all’eleganza dei suoi uomini e quanto loro ne andassero fieri.
Le fiabe di Andersen sono figlie di quei tempi, tempi di romanticismo, romanzi gotici, teorie evoluzionistiche, razionalismo, materialismo. A quelli appartengono.

Il troll, il bullismo

Anticamente, come ancor oggi, nelle società tribali per entrare a far parte del mondo degli adulti i ragazzi venivano sottoposti ad iniziazioni.
Sciamani, mascherati orribilmente, costringevano i giovani ad aver paura e trovare in sé la forza di superarla.

Alcuni racconti della tradizione africana che si concludono con la morte, riecheggiano iniziazioni non riuscite. Il soldatino di piombo, come altre fiabe di Andersen, di fatto parlano di iniziazioni finite male.

Nel bullismo in qualche modo ritornano aspetti dei riti d’iniziazione. Le frasi dette dal troll,  “Smettila di guardare gli altri!”,“Aspetta domani e vedrai!”somigliano alle minacce di un bullo “cos’hai da guardare!” “poi vedi, ti aspetto fuori!”.

Le fiabe della tradizione popolare in cui il giovane eroe affronta un nemico invincibile, raccontano iniziazioni riuscite.
Raccontano di chi pur non avendo alcuna possibilità, nemici potenti, temibili, vince un drago che ha già ucciso tutti coloro che hanno osato a sfidarlo, una strega che immobilizza chiunque osi avvicinarla, o perfino il diavolo.
E non si limitano a dire che vince, dicono anche come.
Con un linguaggio lontano dalla realtà, nascondono indicazioni preziose e profonde, paiono irrazionali ma in questo sta il loro valore, perché se ci si ferma alla razionalità, vince chi sa farsi valere, chi è più abile, più forte, più intelligente, ovvero vince il bullo oppure chi potrebbe esserlo ma essendo buono e giusto sceglie di comportarsi magnanimamente.
Se poi si pretende che la vittoria derivi dalla forza morale, ci si caccia in trappola perché perdere finisce per essere prova di scarso valore morale individuale e si sprofonda nei sensi di colpa.

Le fiabe classiche raccontano di chi non sa farsi valere, di chi sbaglia, non sa cosa fare, non è capace, non è all'altezza di ciò che gli vien chiesto.
Ovvero di chi non potrebbe essere né un bullo, né un capione di alcun tipo, di chi non viene neanche preso in considerazione o viene preso in giro.
Dicono che proprio lui vince.
Come? A volte slealmente, a volte perché per caso capita al momento giusto, a volte grazie all'aiuto di qualcuno e a volte quel qualcuno a volte è proprio dalla principessa per cui sta affrontando la sfida. Sono indicazioni concrete anche se paiono assurde.
Più una fiaba suona insensata, più l'indicazione che nasconde è preziosa. La fiaba suona insensata perché non rientra negli schemi , l'indicazione nascosta è più facile che venga colta da un bambino la cui forma mentale non è ancora irrigidita dal razionalizzare a tutti i costi.

Bambino o adulto chi ascolta un racconto si immedesima col protagonista, vederlo trionfare dà forza mentre vederlo sconfiggere indebolisce.
Se per tutto il racconto il protagonista subisce senza mai osare far fronte al nemico chi ascolta si ritrova ad immedesimarsi in un modello di estrema debolezza, passivo e pusillanime. 
Il soldatino di piombo non affronta neanche un giocattolo a molla.
Quanto è sano far immedesimare un bambino in un simile modello?

L’invidia degli Dei

Il senso d’impotenza di fronte al caso non aiuta a vivere, né aiuta il pessimismo, perché allora è così radicata la tendenza a pensare al peggio?

Tendenza che talvolta nasconde una forma di scaramanzia, quasi che pensando al peggio lo si scongiuri e con persino una specie di timore d’essere troppo felici.
Timore in cui riecheggia l’idea dell’”invidia degli dei”, idea greca ma non solo le mitologie di tutti i popoli raccontano di dei che infieriscono su umani colpevoli d’essere felici.

Perché questa idea comune ai vari popoli?
Secondo alcuni traduttori la parola che dal greco antico viene tradotta “invidia” andrebbe tradotta “divieto”
Divieto degli dei , divieto per gli uomini di sentirsi eccessivamente appagati dalle proprie doti o  capacità sia innate che conquistate, di compiacersi troppo dei trionfi e persino degli affetti.

Cosa può significare un simile divieto?
"Perché infierire su chi è soddisfatto, contento di sé, su chi sente di avercela fatta?" chiedendomelo mi son ritrovata con una nuova domanda: "Coloro che gli dei punivano erano felici?" e la prospettiva è cambiata.
Stando ai miti, in costoro c'è orgoglio, fierezza, autocompiacimento, esaltazione, ma non felicità, intesa come gioia vera, pienezza dell'essere.
Quindi nei miti l'ira divina si scatena su uomini e donne che si abbandonano paghi di ciò che è effimero e come bloccati in un incantesimo non vanno oltre.
Nessuna "invidia", nessun "divieto" alla felicità quindi.
Piuttosto un divieto al dare troppa importanza a ciò che non ne ha e che la vita toglierà comunque.
E uno sprone alla gioia vera, alla pienezza dell'essere.

Immobile in silenzio

Sempre nello svolgersi della fiaba, il soldatino di piombo sta rigido e in silenzio. E sempre è attento a comportarsi in maniera adeguata.
  • Nella magia della notte quando i giocattoli prendono vita, lui resta immobile.
  • Finge di non sentire il troll che gli si rivolge minaccioso.
  • Quando la fiaba dice che urlando potrebbe farsi trovare “pensò che non fosse bene gridare a voce alta perché era in uniforme”.
  • Trascinato dalla corrente “tenace com'era, non batté ciglio, guardò sempre davanti a sé e tenne il fucile sotto il braccio”.
  • Precipitando ”Si irrigidì più che poté, perché nessuno potesse dire che aveva avuto paura”.
  • Una volta in salvo rivedendo la ballerina ”stava per piangere lacrime di stagno, ma questo non gli si addiceva”.
L’irrigidirsi, il non parlare, il timore di fare qualcosa di inopportuno, sono atteggiamenti che espongono al rischio di divenire vittima di sopraffazioni e bullismo.

Un bimbo timido e insicuro avrebbe giovamento da un diverso sviluppo della fiaba.
In Hansel e Gretel, Gretel piange e ha paura di tutto ed è Hansel che sempre la consola, le fa coraggio, prende le iniziative. Ma quando per Hansel non c’è più scampo è Gretel che inganna la strega, la brucia, libera il fratello e quando sulla strada del ritorno un grande fiume blocca loro la strada è lei a rivolgersi all’anatra chiedendo trasportarli dall’altra parte. Per questo la fiaba di Hansel e Gretel, così com'è senza alterazioni, non può che fare bene ad un bimbo timido e insicuro nonostante ciò che crea perplessità negli adulti.

Ma tornando al soldatino cos’accadrebbe se nella notte andasse sicuro dalla ballerina?
se gli riuscisse di dare una risposta decisa al troll,se urlasse per farsi ritrovare infischiandosene dell’uniforme, se trascinato dalle corrente pensasse “Sto vivendo qualcosa che i miei commilitoni chiusi nella scatola neanche s’immaginano!”, se precipitando pensasse “Accada quel che accada ne è valsa la pena!”, se rivedendo la ballerina piangesse e ridesse di gioia, vorrebbe la fiaba a gettarlo nel fuoco?
o da eroe col piombo trasformato in oro, il soldatino sposerebbe la ballerina, verrebbe acclamato re del castello ed insieme vivrebbero felice e contenti?

Divorato da un Pesce


Anche Pinocchio viene divorato da un pesce e poi riesce ad uscirne.
Collodi parla di Pesce-cane, è la Disney che s’è inventata la balena e ha fatto della storia un simpatico cartone animato mentre Pinocchio è per molti una fiaba massonica, e di fatto è densa di significati e contenuti esoterici.
Esser divorato da un pesce e poi salvarsi è un’esperienza presente persino nella Bibbia, nel libro di Giona, rappresenta vedere la morte in faccia e miracolosamente salvarsi, è nascere una seconda volta, come da un secondo ventre materno.

Pinocchio, una volta uscito dal ventre del Pesce-cane è completamente cambiato,
si fa carico del padre, manifesta gratitudine, assume responsabilità, accetta un lavoro duro e nel tempo libero ne fa un altro, trova il modo di studiare, rinuncia ai soldi che ha messo da parte per vestito quando scopre che la fata ha bisogno di cure e decide di lavorare ancora di più per provvedere anche a lei.
Pensa e agisce in modo diverso, per questo diviene un bambino vero che potrà crescere, progredire ancora, diventare un uomo "vero".
Il soldatino tratto in salvo dal ventre del pesce si ritrova nella casa di partenza e riprende a guardare la ballerina, immobile, senza dire una sola parola, esattamente come prima.

”Stava per piangere lacrime di stagno, ma questo non gli si addiceva”,
come? ancora si preoccupa di fare brutta figura?
Non è cambiato nulla? è stato tutto inutile? nessuna crescita? nulla? 
A questo punto gli dei o la vita con lui non hanno scelta!

Se si fossero sposati, come sarebbe andata a finire la loro storia?


Il soldatino crede che come a lui alla ballerina manchi una gamba e allora pensa “quella sarebbe la sposa per me!”, pur rendendosi conto di non avere nulla da offrirle,
con queste premesse mi chiedo: se si fossero sposati, come sarebbe andata a finire la loro storia?
Il soldatino si sarebbe sentito non all'altezza e la ballerina delusa? Rancori e incomprensioni avrebbero inacidito la loro esistenza?

Si dice che l’amore è cieco , ma proprio perché impedisce di vedere i difetti, l’amore permette di vedere davvero l’altro senza lasciarsi confondere da cose senza importanza.
L’innamorato vede solo il bello dell’altro.
Sia in “La fanciulla senza mani” che in “Dognipelo”, al re non importa nulla di ciò che in lei è imperfetto, vede solo bellezza, decide di sposarla, averla accanto come regina. 
Il soldatino invece vede nella ballerina un’imperfezione, che tra l’altro non c’è, e su questa basa il suo amore che in qualche modo è un accontentarsi.


Si dice che nell’uomo ci sia una parte femminile e che ci sia una parte maschile nella donna.
Si dice che innamorarsi sia vedere quella parte di sé rispecchiata nell’altro e che quando poi ci si accorge che l’altro non è così, l'innamoramento passa, la storia finisce.
Oppure può cominciare davvero
.
Il soldatino nella ballerina vede un'imperfezione che rispecchia la propria.
Ma proprio perché senza gamba non era stato chiuso con gli altri nella scatola per la notte ed al mattino era stato messo accanto alla finestra,proprio perché senza gamba anziché il chiuso della scatola aveva avuto la sua avventura.
L'“imperfezione” avrebbe potuto essere la sua fortuna
.
Purtroppo però l'avventura lui non l'ha vissuta con eccitazione, baldanza, passione, gusto della scoperta, non ha saputo prendere gli eventi come regali della vita.

e non ha saputo vedere riflessa nella ballerina, quindi scoprire, quella parte di sé che non può essere che perfetta.