Una favola DANNOSA: "La formica e la cicala"

“La Formica e la Cicala” è una favola talmente nota e talmente semplice che purtroppo è probabile venga raccontata ai bimbi fin da piccoli.

Il mio “purtroppo” pare assurdo lo so, è una favola considerata educativa e saggia.
La riassumo senza concedere nulla al racconto, non vorrei che venisse trovata proprio da me e raccontata: d’inverno la cicala non ha nulla per sfamarsi e chiede aiuto alla formica che ha grandi scorte di cibo, ma questa la schernisce: “D’estate mentre io lavoravo tu cosa facevi?” “Cantavo.” “Allora adesso balla”. Morale: se non ti preoccupi per il domani te la passerai molto male e giustamente nessuno ti aiuterà.
L'idea è educare i bambini alla lungimiranza:
“Quando le cose vanno bene bisogna tener conto che non sarà sempre così, darsi da fare e risparmiare perché sono tante le cose brutte che possono capitare, sfortune, malattie, vecchiaia "
Ma è davvero per il loro bene?

Stando alla favola il comportamento della formica è l'ideale. Lo è davvero nella realtà?
Non intendo riferirmi a quel che in natura succede a cicale e formiche vere, queste ad esempio, vivono solo in quanto membri di un formicaio, se non sono in grado di farvi ritorno muoiono.
Nella favola, formica e cicala impersonano virtù da imitare e vizi da biasimare. Ma il comportamento da formica è davvero virtuoso? o almeno, assicura davvero un buon futuro?
Ad dir il vero non sempre è così, a volte è il comportamento da cicala a venir premiato. Spesso intervengono altri fattori che con impegno e oculatezza non hanno nulla a che vedere.
Hai voglia a dire che non è giusto, la realtà continua comunque ad essere quella che è.
Il futuro sarà comunque come vorrà essere.
C’era un ragazzo di vari anni più grande di me, era pieno di sogni. Quando si mise in proprio, mi presentò una ragazza con cui aveva iniziato a collaborare e da subito mi fu chiaro che sia la fidanzata di lui che l'eventuale fidanzato di lei, avevano i giorni contati. Avevano tanti progetti e sogni, erano decisi a fare i soldi entro i quarant’anni poi sarebbero andati a vivere dove lui avrebbe potuto camminare tra le colline all'alba, come faceva da piccolo con suo padre, lei avrebbe dipinto e lavorato la ceramica. Ma quando arrivarono a quarant’anni non ne palarono più. L’ultima volta che ci incontrammo fu assurdo che mi chiamassero ancora “bella bambina”. Volevano come sempre che raccontassi di mio figlio, gentili, dato che non l’avevano mai visto. Al solito lei era perfetta: capelli, trucco, mani, tailleur, la chiamò un cliente e dovette scappare via. Rimasti soli l’aplomb da professionista abbandonò di colpo il mio amico: “Ne ha sofferto tanto, sai! E ne soffre. Avrebbe tanto voluto un figlio. L’avrei voluto anch’io, ma per me non è come per lei. All’inizio non ci pensavamo, poi era giusto aspettare, volevamo essere sicuri di potergli dare tutto, ma quando col lavoro avrebbe dovuto essere tutto a posto è arrivata la crisi, rimanere a galla è stata dura. Adesso ormai è tardi”.
Possiamo raccontarci e raccontare qualsiasi cosa, ma la realtà non è come nelle favole.
La realtà è come nelle fiabe! è come il re che se non ne ha voglia non mantiene le promesse, ogni volta che il principe riesce a superare una prova  gliene impone un'altra ancor più difficile. 
Impegno e sacrifici non assicurano nulla. 
Cosa c'è di certo?
C'è che se impegno e sacrifici sono stati tanti, la sconfitta sarà più dura .
C'è che vedendo chi facendo meno ottiene più di noi proveremo rabbia e rancore.
C'è che magari ci sentiremo sbagliati pure per questo o magari faremo come quella donna che alzando il pugno al cielo diceva "stavolta Dio non te la perdono!".
E c'è di certo che la realtà continuerà ad essere quello che è.
È davvero un bene preoccuparsi per il domani? 
Non dico non fare quel che va fatto, intendo “preoccuparsi”, fare rinunce, rimandare al futuro. È davvero un bene rinunciare al sole quando splende perché poi verrà l’inverno? È davvero un bene lavorare senza concedersi il tempo di cantare?

Si vive con l'affanno di non riuscire mai a fare tutto. 
Si fa e si pensa a cosa fare dopo, a cos'altro si sarebbe dovuto fare, a quel che non si è fatto.
Non abbiamo ancora capito?   
Siamo noi il re! Siamo noi stessi a pretendere ogni volta qualcos'altro e non mantenere le promesse che ci siamo fatti.
Per forza non riusciamo a fare tutto!
Continuiamo ad inventare cose da fare.
Continuiamo a correre come muli dietro alla carota appesa al bastone. Lo sappiamo che sarà sempre ad un metro dal nostro muso, ma andiamo avanti, raccontandoci favole e raccontandole pure ai nostri figli. 

Perché questa nostra stupidità? Perché? 
Per paura!
Paura del domani, paura della vecchiaia, paura della malattia, paura di tutte le cose brutte che potrebbero capitare, più ci pensiamo più ce ne vengono in mente, ci svegliamo la notte e non riusciamo più a dormire, roviniamo i momenti belli perché i tarli continuano a rodere.

Quando male ancora vogliamo farci?
Per come vanno le cose, il dogma "prima il dovere e poi il piacere" potremmo pure provare a capovolgerlo, chissà?
"Prima il piacere e poi il dovere" magari funziona meglio!
Qualsiasi cosa capiti possiamo affrontarla solo quando capita.  Che possiamo fare per quel che c'è stato? che possiamo fare per quel che ancora non c'è e chissà come sarà? Soltanto pensarci, ripensarci, preoccuparci, rammaricarci.

Una cosa è fare quel che occorre, un'altra è pensarci, ripensarci, preoccuparci, rammaricarci.
Cosa vogliamo per i nostri figli?
Perché destinarli alla tristezza, alla frustrazione, al rimpianto, alla paura?
Che cantino quando c'è da cantare senza ossessioni inutili!
Sono più di duemila anni che c’è stato detto:
gli uccelli del cielo non seminano, non mietono e non raccolgono in granai, i gigli dei campi non tessono e non filano e nemmeno re Salomone in tutta la sua gloria ha mai vestito come loro, perché dunque angustiarvi chiedendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Di che ci vestiremo?”,

il domani avrà cura di se stesso,
a ciascun giorno basta il suo affanno.

(Mi sto riferendo al Discorso della Montagna di Cristo, dal Vangelo secondo Matteo 5,1-12)