Fiabe NON favole

(EN Fairy Tales NOT Fables by Fabio Bellicini)

Le parole fiaba e favola vengono spesso usate come sinonimi ma non lo sono.
Non ho niente contro le favole, ma non ho nemmeno niente da dire.

Le favole insegnano rettitudine e virtù.
Un pastorello aveva l’abitudine di gridare per scherzo “al lupo al lupo”.
Quando il lupo arrivò davvero, il pastorello cercò di chiamare aiuto, ma invano, per quanto urlasse nessuno gli diede retta. E il lupo se lo mangiò.
Morale: chi mente sempre quando dice la verità non vien creduto.

Usano descrivere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, con animali che si comportano da umani.
La cicala non fece altro che cantare durante l’estate, mentre la formica si dava da fare per portar cibo nella sua tana.
Quando venne l'inverno e nei campi non ci fu più nulla, la cicala affamata andò a chiedere aiuto alla formica.
Quella le disse: “Ho tante provviste perché ho lavorato tutta l’estate. Tu cosa facevi a quel tempo?”
“Cantavo”
“Allora adesso balla”
Le favole appartengono alla Ragione.
Ciò che dicono ha uno scopo, chiaro e ben comprensibile. Non ho altro da dire.


Le fiabe raccontano di principi, principesse, streghe, incantesimi.

Accadono chissà dove e chissà quando. 

C'è chi si arrabbia, vede antifemminismo nelle principesse che si sposano, crudeltà verso gli animali nei lupi scuoiati, retaggi d'ignoranza verso povere vecchie considerate streghe. 
Ma non è così.

Le fiabe NON appartengono alla Ragione.

Il semplice comune buon senso in loro non c’è.

In questo blog parlo solo di fiabe, fiabe classiche.



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Indice Varie

L'oca d'oro

L'oca d'oro
The golden goose
La oca de oro
L'oie d'or

Riflessioni e considerazioni
Considerations

C'era un uomo che aveva tre figli; il minore, chiamato il Grullo, era disprezzato, dileggiato e messo da parte in ogni occasione.

Un giorno il maggiore volle andare nel bosco a far legna e prima di uscire la madre gli diede una bella frittata e una bottiglia di vino perché‚ non patisse la fame e la sete.
Quando giunse nel bosco, incontrò un vecchio omino grigio, che lo salutò e disse:
-Dammi un pezzo della tua frittata e fammi bere un sorso del tuo vino, ho tanta fame e tanta sete!-.
Ma il figlio avveduto rispose:
-Se ti do la mia frittata e il mio vino, a me non resta più nulla. Vattene per la tua strada!- e se ne andò.
Incominciò a tagliare un albero, ma ben presto sbagliò il colpo ferendosi il braccio con la scure e dovette andare a casa a farsi bendare.
In realtà si trattava del castigo dell'omino grigio.

Poi toccò al secondo figlio andare nel bosco, e la madre diede anche a lui una frittata e una bottiglia di vino.
Anch'egli s'imbatté‚ nel vecchio omino grigio, che gli chiese un pezzo di frittata e un sorso di vino.
Ma anche il secondo figlio parlò ragionevolmente:
-Ciò che do a te, manca a me. Vattene per la tua strada!- e proseguì.
L'omino non fece tardare il castigo: dopo aver dato due o tre colpi di scure a un albero, il giovane si ferì la gamba e dovettero trasportarlo a casa.
Allora il Grullo disse:
-Padre, voglio andare a far legna anch'io-.
Il padre rispose:
-I tuoi fratelli si sono fatti male; tu lascia perdere, tanto non ne capisci niente-.
Ma il Grullo lo pregò tanto che il padre finì col dirgli:
-Va pure, imparerai a tue spese-.
La madre gli diede una focaccia cotta nella cenere e una bottiglia di birra acida.

Quando arrivò nel bosco, incontrò anch'egli il vecchio omino grigio, che lo salutò e gli disse:
-Dammi un pezzo della tua focaccia e un sorso della tua bottiglia, ho tanta fame e tanta sete-.
Il Grullo rispose:
-Ho soltanto una focaccia cotta nella cenere e birra acida; se ti va bene possiamo sederci a mangiare-.
Si sedettero e quando il Grullo tirò fuori la sua focaccia, trovò una bella frittata, e la birra acida era del buon vino.
Mangiarono e bevvero, poi l'omino disse:
-Poiché‚ hai buon cuore e dividi volentieri con altri ciò che è tuo, voglio renderti fortunato.Là c'è un vecchio albero; abbattilo e troverai qualcosa nelle radici-.
Ciò detto si congedò da lui.
Il Grullo andò ad abbattere l'albero, e quand'esso cadde trovò nelle radici un'oca dalle piume d'oro puro.
La tirò fuori, la prese con sé e andò a pernottare in una locanda.
Ma l'oste aveva tre figlie che, vedendo l'oca, erano curiose di sapere di che strano uccello si trattasse, e avrebbero preso volentieri una delle sue piume d'oro. La maggiore pensò:
"Devo assolutamente avere una piuma!".
Aspettò che il Grullo fosse uscito e afferrò l'oca per l'ala, ma le dita vi rimasero appiccicate.
Poco dopo arrivò la seconda, e non aveva altro pensiero che prendersi anche lei una piuma; si avvicinò, ma non appena ebbe sfiorato la sorella, vi rimase attaccata.
Infine venne anche la terza a reclamare una piuma; allora le altre gridarono:
-Sta' lontana, per l'amor di Dio, sta' lontana!-.
Ma ella non capiva il perché‚ e pensò:
"Se ci sono loro posso esserci anch'io".
Si avvicinò di corsa, ma non appena ebbe sfiorato sua sorella, le rimase attaccata.
Così dovettero trascorrere la notte con l'oca.

Il mattino dopo il Grullo prese in braccio l'oca, e se ne andò senza curarsi affatto delle tre fanciulle.
Esse erano costrette a corrergli sempre dietro, a destra e a sinistra, dove lo portavano le gambe.
In mezzo ai campi incontrarono il parroco che, vedendo quella processione, disse:
-Vergognatevi razza di scostumate. Vi pare decente correre per i campi dietro a quel ragazzo?-.
Ciò detto afferrò la più giovane per la mano perché‚ si fermasse ma, non appena l'ebbe sfiorata, rimase attaccato anche lui e dovette correre dietro a loro.
Poco dopo giunse il sagrestano e vide il parroco che stava tallonando tre ragazze. Meravigliato, gridò:
-Ehi, signor parroco, dove andate così in fretta? Oggi abbiamo ancora un battesimo!-.
Lo rincorse, lo afferrò per la manica e rimase attaccato anche lui.
Mentre i cinque trottavano così uno dietro l'altro, dal campo giunsero due contadini con le loro zappe e il parroco li chiamò, pregandoli di venire a liberarli.
Ma avevano appena sfiorato il sagrestano che rimasero attaccati anche loro; così adesso erano in sette a correr dietro al Grullo con l'oca.

Poi egli giunse in una città dove regnava un re che aveva una figlia tanto seria che nessuno riusciva a farla ridere. Perciò egli aveva stabilito che l'avrebbe avuta in isposa solo colui che vi fosse riuscito.
Il Grullo, quando lo seppe, si presentò con l'oca e tutto il seguito alla principessa; e quand'ella vide i sette che correvano l'uno dietro l'altro, incominciò a ridere forte, e non la smetteva più.
Allora il Grullo pretese che gliela si desse in moglie, ma il re fece un mucchio di obiezioni e disse che prima doveva portargli un uomo che fosse in grado di bere tutto il vino di una cantina.
Il Grullo pensò che l'omino grigio avrebbe potuto aiutarlo; andò nel bosco e là dove aveva abbattuto l'albero vide un uomo seduto con la faccia tutta triste.
Il Grullo domandò che cosa lo addolorasse tanto.
-Ah!- rispose quello -ho tanta sete e non ho da bere a sufficienza; ho sì vuotato una botte di vino, ma cos'è una goccia su di una pietra bollente?-
-Posso aiutarti io- disse il Grullo -vieni con me, ti disseterai.-
Lo condusse nella cantina del re e l'uomo si gettò su quelle grosse botti, e bevve, bevve tanto che gli dolevano i fianchi; prima che fosse trascorsa la giornata aveva vuotato la cantina.

Il Grullo chiese nuovamente la fanciulla in isposa, ma il re si seccò che un volgare ragazzotto, che tutti chiamavano il Grullo, gli portasse via la figlia, e pose altre condizioni: doveva portargli un uomo che fosse in grado di mangiare una montagna di pane.
Il Grullo si recò nuovamente nel bosco e dove si trovava l'albero trovò un uomo che si stringeva la vita con una cinghia e diceva, con viso burbero:
-Ho mangiato un'intera infornata di panini, ma non può certo bastare con la fame che mi ritrovo! Mi sento lo stomaco vuoto, e non mi resta che stringermi la vita se non voglio morire di fame-.
Udendo queste parole, il Grullo disse, tutto contento:
-Alzati e vieni con me, ti sazierai-.
Lo condusse a corte dove il re aveva ordinato di raccogliere tutta la farina del regno e di cuocere un'enorme montagna di pane.
Ma l'uomo del bosco vi si mise davanti, incominciò a mangiare e in un giorno e una notte l'intera montagna era sparita.
Il Grullo chiese nuovamente la sposa, ma il re cercò un'altra scusa e gli disse di procurargli una nave che andasse per mare e per terra; se fosse riuscito in quest'impresa avrebbe avuto subito la fanciulla in isposa.

Il Grullo andò ancora una volta nel bosco e ci trovò il vecchio omino grigio al quale aveva dato la sua focaccia e che gli disse:
-Ho bevuto e mangiato per te, e ora ti darò anche la nave. Faccio tutto questo perché‚ sei stato pietoso con me-.

Gli diede la nave che andava per mare e per terra; e, quando il re la vide, dovette accordargli la figlia.

Furono celebrate le nozze, il Grullo ereditò poi il regno e visse a lungo felice con la sua sposa.

L'oca d'oro - Riflessioni e considerazioni


Chi non conosce le fiabe pensa di trovarvi le solite morali.
Ma le fiabe contengono verità profonde, non semplici ovvietà.
Il protagonista non si guadagna il lieto fine, lo ottiene grazie ad altri.
Nelle fiabe le virtù abituali non hanno valore.

 Il Grullo non ha nessun merito nel superamento delle prove del Re.
Non è né intelligente, né abile. Non si accorge neppure che è sempre il vecchio omino grigio ad aiutarlo.

Visto che alla fine l'omino grigio dice "Faccio tutto questo perché‚ sei stato pietoso con me”, ci si può persuadere che la fiaba voglia elogiare la bontà d’animo.

Ma il Grullo non è poi così buono.
Si comporta malissimo con quelli che si appiccicano all’oca, ragazze, religiosi, lavoratori. Li fa correre.
Li porta dalla principessa per farla ridere.

In questa fiaba non ci sono intelligenza, abilità, dedizione e non viene premiata la bontà, perché questa fiaba non ha voglia di dir bugie. Nella vita reale il successo arriva un'infinità di volte a chi non ha proprio niente di speciale, anzi vale sicuramente meno di altri. È meno intelligente, meno abile, lavora meno.

Per anni mi sono ostinata a dipinger l’Oca d’oro e regalarla ai bambini, domandandomi se fosse solo uno scherzo o cercasse di dire qualcosa.

 Il Grullo è un buono a nulla, come ripete il padre e come sanno tutti. E non fa niente per non esserlo.
Trovata l’oca un altro cercherebbe di mettere a frutto un simile tesoro, invece lui va alla locanda e il mattino dopo qua e là dove lo portano le gambe con l’oca in braccio ed un codazzo di gente dietro. Fa proprio lo stupido.

Non gli passa nemmeno per la testa di dover diventare quello che potrebbe piacere agli altri.

Non dovrebbe mettersi a mangiare appena arrivato nel bosco. Dovrebbe tagliare legna, come si aspettano a casa, e serbare il cibo per dopo.
I suoi fratelli, giudiziosamente, s’eran messi subito al lavoro spiegando al vecchio che non potevan dargli nulla per non ritrovarsi poi, stati stanchi e affamati, a non aver di che saziarsi.
La Ragione tien sempre conto della miseria, (come in “La pappa dolce”). Il Grullo no. Lui non si preoccupa per il futuro.

Non sente la necessità di fare il proprio dovere. Lo sanno tutti che è un cretino, non ha neppure un nome è solo “il Grullo”, quindi è completamente libero dal senso della propria importanza, non ha bisogno di prendersi nessuna responsabilità.

Divide il cibo con il primo che gli capita, non perchè ne provi pena, giusto per il gusto di mangiare in compagnia.

Non lo rattrista che la madre gli abbia dato meno che ai fratelli, si limita a dire all’omino di aver solo quello da offrirgli.

Che il Re continui mancargli di parola è ingiusto, ma lui non soffre risentito, si occupa di superar le prove.
Non si fa problemi di amor proprio. Non gl’importa. 

Nemmeno dell'oca gl'importa.
L’oca è come la canzone azzeccata che rende famoso uno sconosciuto, una moda, un’intuizione, un prodotto indovinato, una promozione, un incarico.
Dà popolarità, bene o male, il che di solito significa stress, logorio, paura di perderla.
Ma lui è un balordo spensierato, vede il lato comico della situazione e fa ridere la principessa.
L’oca è così poco importante che la fiaba non ne parla più.

A lui importa solo ciò che vuole.
Vuole andare nel bosco? ci va!
Vuole far ridere la principessa? la fa ridere!
Vuol sposarla e diventare re? ed alla fine è come vuole lui!

Protestare che le principesse delle fiabe si limitano passivamente a farsi sposare è scontato ma superficiale.

Ormai è consuetudine considerare due componenti della personalità, una maschile, razionale e scientifica,(Ragione, Logo, Yang), una femminile, intuitiva e sentimentale, (Anima, Ying), e ritenere auspicabile la loro fusione armonica.
Le fiabe col matrimonio finale alludono a questa unione. E la Principessa che non sa ridere è la componente femminile, l’Anima, con le sue emozioni e fragilità spesso portata alla tristezza.

Oppure la principessa può essere intesa come l’aspirazione più vera e profonda. Quello scopo che una volta individuato si sa di volere con tutto il cuore. Quel sogno nel cassetto che se entrasse a far parte della propria vita, trasformerebbe ogni giorno in un giorno da Re. Diventare cantante, scrittore, vivere in riva al mare, aprire una cartoleria, lavorare con i motori, addestrare cani, dedicarsi in pieno a quell’attività che riesce ad essere a mala pena un hobby.
Il più delle volte non ci si permette nemmeno di pensare quale possa essere, troppo gravati da ciò che bisogna fare, dalle responsabilità, dalle aspettative altrui.

Invece,se si fosse liberi, se non ci si lasciasse coinvolgere da niente e da nessuno, gironzolando qua e là dove portano le gambe, infischiandosene di passar per grulli, ad un certo punto per caso si potrebbe arrivare alla città dove c’è la principessa che val davvero la pena sposare.

La principessa ride forte quando vede che il Grullo si fa gioco di ogni tentativo di abbindolamento da parte di chicchessia.
Con l’Anima che ride e la certezza di quel che si vuole, si può cominciare a pensare di vivere felici.

Ma non è ancora fatta!

Il re che continua a porre prove somiglia alla realtà.
Superato un ostacolo, al posto del risultato prospettato, c'è ancora un altro ostacolo.
Abilità, intelligenza, impegno non bastano mai.
 Il Grullo non demorde. Ma non si logora cozzando con l'impossibile. Non si fa problemi di non essere all’altezza, non esser degno, dà per scontato di non essere in grado di farcela.
Ogni volta va in cerca del vecchio omino grigio, sa che può trovarlo nel bosco.

Non deve chiedere nulla, incontra sempre qualcuno i cui bisogni rappresentano la soluzione alla prova posta dal re, quel che serve ad altri coincide quel che fa comodo a lui. Non deve chiedere ma offrire opportunità così come all’inizio non aveva fatto la carità ma mangiato in compagnia per il piacere di farlo.

 Ecco quel che la fiaba cerca di dire! È il Grullo che sposa la principessa e diventa Re perché ha il merito e la virtù d’esser Grullo.

L'oca d'oro
The golden goose
La oca de oro
L'oie d'or

Riflessioni e considerazioni
Consideration

The golden goose

L'oca d'oro
The golden goose
La oca de oro
L'oie d'or

Riflessioni e considerazioni
Considerations

There was a man who had three sons, the youngest of whom was called the Simpleton, and was despised, laughed at, and neglected, on every occasion. It happened one day that the eldest son wished to go into the forest to cut wood, and before he went his mother gave him a delicious pancake and a flask of wine, that he might not suffer from hunger or thirst. When he came into the forest a little old grey man met him, who wished him good day, and said, “Give me a bit of cake out of your pocket, and let me have a drink of your wine; I am so hungry and thirsty.” But the prudent youth answered, “Give you my cake and my wine? I haven't got any; be off with you.” And leaving the little man standing there, he went off. Then he began to fell a tree, but he had not been at it long before he made a wrong stroke, and the hatchet hit him in the arm, so that he was obliged to go home and get it bound up. That was what came of the little grey man.
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Afterwards the second son went into the wood, and the mother gave to him, as to the eldest, a pancake and a flask of wine. The little old grey man met him also, and begged for a little bit of cake and a drink of wine. But the second son spoke out plainly, saying, “What I give you I lose myself, so be off with you.” And leaving the little man standing there, he went off. The punishment followed; as he was chopping away at the tree, he hit himself in the leg so severely that he had to be carried home.
Then said the Simpleton, “Father, let me go for once into the forest to cut wood; and the father answered, “Your brothers have hurt themselves by so doing; give it up, you understand nothing about it.” But the Simpleton went on begging so long, that the father said at last, “Well, be off with you; you will only learn by experience.” The mother gave him a cake (it was only made with water, and baked in the ashes), and with it a flask of sour beer. When he came into the forest the little old grey man met him, and greeted him, saying, “Give me a bit of your cake, and a drink from your flask; I am so hungry and thirsty.” And the Simpleton answered, “I have only a flour and water cake and sour beer; but if that is good enough for you, let us sit down together and eat.” Then they sat down, and as the Simpleton took out his flour and water cake it became a rich pancake, and his sour beer became good wine; then they ate and drank, and afterwards the little man said, “As you have such a kind heart, and share what you have so willingly, I will bestow good luck upon you. Yonder stands an old tree; cut it down, and at its roots you will find some thing,” and thereupon the little man took his departure.


Il The Simpleton went there, and hewed away at the tree, and when it fell he saw, sitting among the roots, a goose with feathers of pure gold. He lifted it out and took it with him to an inn where he intended to stay the night.
The landlord had three daughters who, when they saw the goose, were curious to know what wonderful kind of bird it was, and ended by longing for one of its golden feathers. The eldest thought, “I will wait for a good opportunity, and then I will pull out one of its feathers for myself;” and so, when the Simpleton was gone out, she seized the goose by its wing - but there her finger and hand had to stay, held fast. Soon after came the second sister with the same idea of plucking out one of the golden feathers for herself; but scarcely had she touched her sister, than she also was obliged to stay, held fast. Lastly came the third with the same intentions; but the others screamed out, “Stay away! for heaven's sake stay away!” But she did not see why she should stay away, and thought, “If they do so, why should not I?” and went towards them. But when she reached her sisters there she stopped, hanging on with them. And so they had to stay, all night.
The next morning the Simpleton took the goose under his arm and went away, unmindful of the three girls that hung on to it. The three had always to run after him, left and right, wherever his legs carried him. In the midst of the fields they met the parson, who, when he saw the procession, said, “Shame on you, girls, running after a young fellow through the fields like this,” and forthwith he seized hold of the youngest by the hand to drag her away, but hardly had he touched her when he too was obliged to run after them himself. Not long after the sexton came that way, and seeing the respected parson following at the heels of the three girls, he called out, “Ho, your reverence, whither away so quickly? You forget that we have another christening to-day,” and he seized hold of him by his gown; but no sooner had he touched him than he was obliged to follow on too. As the five tramped on, one after another, two peasants with their hoes came up from the fields, and the parson cried out to them, and begged them to come and set him and the sexton free, but no sooner had they touched the sexton than they had to follow on too; and now there were seven following the Simpleton and the goose.
By and by they came to a town where a king reigned, who had an only daughter who was so serious that no one could make her laugh; therefore the king had given out that whoever should make her laugh should have her in marriage. The Simpleton, when he heard this, went with his goose and his hangers-on into the presence of the king's daughter, and as soon as she saw the seven people following always one after the other, she burst out laughing, and seemed as if she could never stop.
And so the Simpleton earned a right to her as his bride; but the king did not like him for a son-in-law and made all kinds of objections, and said he must first bring a man who could drink up a whole cellar of wine. The Simpleton thought that the little grey man would be able to help him, and went out into the forest, and there, on the very spot where he felled the tree, he saw a man sitting with a very sad countenance. The Simpleton asked him what was the matter, and he answered, “I have a great thirst, which I cannot quench: cold water does not agree with me; I have indeed drunk up a whole cask of wine, but what good is a drop like that?” Then said the Simpleton, “I can help you; only come with me, and you shall have enough.” He took him straight to the king's cellar, and the man sat himself down before the big vats, and drank, and drank, and before a day was over he had drunk up the whole cellar-full.

The Simpleton again asked for his bride, but the king was annoyed that a wretched fellow, called the Simpleton by everybody, should carry off his daughter, and so he made new conditions. He was to produce a man who could eat up a mountain of bread. The Simpleton did not hesitate long, but ran quickly off to the forest, and there in the same place sat a man who had fastened a strap round his body, making a very piteous face, and saying, “I have eaten a whole bakehouse full of rolls, but what is the use of that when one is so hungry as I am? My stomach feels quite empty, and I am obliged to strap myself together, that I may not die of hunger.” The Simpleton was quite glad of this, and said, “Get up quickly, and come along with me, and you shall have enough to eat.” He led him straight to the king's courtyard, where all the meal in the kingdom had been collected and baked into a mountain of bread. The man out of the forest settled himself down before it and hastened to eat, and in one day the whole mountain had disappeared.
Then the Simpleton asked for his bride the third time. The king, however, found one more excuse, and said he must have a ship that should be able to sail on land or on water. “So soon,” said he, “as you come sailing along with it, you shall have my daughter for your wife.” The Simpleton went straight to the forest, and there sat the little old grey man with whom he had shared his cake, and he said, “I have eaten for you, and I have drunk for you, I will also give you the ship; and all because you were kind to me at the first.” Then he gave him the ship that could sail on land and on water, and when the king saw it he knew he could no longer withhold his daughter.

The marriage took place immediately, and at the death of the king the Simpleton possessed the kingdom, and lived long and happily with his wife.


The brothers Grimm - KHM 064

L'oca d'oroThe golden goose
La oca de oro
L'oie d'or

Riflessioni e considerazioni
Consideration

L'oie d'or


?
Il était une fois un homme qui avait trois fils. Le plus jeune avait été surnommé le Bêta et était la risée de tout le monde. Ses frères le prenaient de haut et se moquaient de lui à chaque occasion. Un jour, le fils aîné s'apprêta à aller dans la forêt pour abattre des arbres. Avant qu'il ne parte, sa mère lui prépara une délicieuse galette aux oeufs et ajouta une bouteille de vin pour qu'il ne souffre ni de faim ni de soif. Lorsqu'il arriva dans la forêt, il y rencontra un vieux gnome gris. Celui-ci le salua, lui souhaita une bonne journée et dit :
- Donne-moi un morceau de gâteau et donne-moi à boire de ton vin.
Mais le fils, qui était malin, lui répondit :
- Si je te donne de mon gâteau et te laisse boire de mon vin, il ne me restera plus rien. Passe ton chemin.
Il laissa le bonhomme là où il était, et il s'en alla. Il choisit un arbre et commença à couper ses branches, mais très vite il s'entailla le bras avec la hache. Il se dépêcha de rentrer à la maison pour se faire soigner. Ce qui était arrivé n'était pas le fait du hasard, c'était l'œuvre du petit homme.

Un autre jour, le deuxième fils partit dans la forêt. Lui aussi avait reçu de sa mère une galette et une bouteille de vin. Lui aussi rencontra le petit homme gris qui lui demanda un morceau de gâteau et une gorgée de vin. Mais le deuxième fils répondit d'une manière aussi désinvolte que son frère aîné :
- Si je t'en donne, j'en aurai moins. Passe ton chemin.
Il planta le petit homme là et s'en alla. La punition ne se fit pas attendre. Il brandit sa hache trois ou quatre fois et son tranchant le blessa à la jambe.
Peu de temps après, le Bêta dit :
- Papa, laisse-moi aller dans la forêt. Moi aussi je voudrais abattre des arbres.
- Pas question, répondit le père. Maladroit comme tu es, tu n'iras nulle part.
Mais le Bêta insista et son père finit par céder :
- Vas-y, mais s'il t'arrive quelque chose, tu recevras une belle correction.
Sa mère lui donna une galette faite d'une pâte préparée à l'eau et cuite dans les cendres et une bouteille de bière aigre. Le Bêta arriva dans la forêt et y rencontra le gnome vieux et gris, qui le salua et dit :
- Donne-moi un morceau de ton gâteau et laisse-moi boire de ton vin. J'ai faim et soif.
- Je n'ai qu'une galette sèche et de la bière aigre, répondit le Bêta, mais si cela te suffit, asseyons-nous et mangeons.
Ils s'assirent et le Bêta sortit sa galette qui soudain se transforma en un somptueux gâteau et trouva du bon vin à la place de la bière aigre. Ils mangèrent et burent, puis le vieux bonhomme dit :
- Tu as bon cœur et tu aimes partager avec les autres, c'est pourquoi je vais te faire un cadeau. Regarde le vieil arbre, là-bas. Si tu l'abats, tu trouveras quelque chose dans ses racines.
Le gnome le salua et disparut.


Le Bêta s'approcha de l'arbre et l'abattit. L'arbre tomba et le Bêta aperçut entre ses racines une oie aux plumes d'or. Il la sortit, la prit et alla dans une auberge pour y passer la nuit.
L'aubergiste avait trois filles. Celles-ci, en apercevant l'oie, furent intriguées par cet oiseau étrange. Elles auraient bien voulu avoir une des plumes d'or. « Je trouverai bien une occasion de lui en arracher une », pensa la fille aînée. Et lorsque le Bêta sortit, elle attrapa l'oie par une aile. Mais sa main resta collée à l'aile et il lui fut impossible de la détacher. La deuxième fille arriva, car elle aussi voulait avoir une plume d'or, mais dès qu'elle eut touché sa sœur, elle resta collée à elle. La troisième fille arriva avec la même idée en tête.
- Ne viens pas ici, que Dieu t'en garde ! Arrête-toi ! crièrent ses sœurs.
Mais la benjamine ne comprenait pas pourquoi elle ne devrait pas approcher, et elle se dit : « Si elles ont pu s'en approcher, pourquoi je ne pourrais pas en faire autant ? » Elle s'avança, et dès qu'elle eut touché sa sœur, elle resta collée à elle. Toutes les trois furent donc obligées de passer la nuit en compagnie de l'oie.
Le lendemain matin, le Bêta prit son oie dans les bras et s'en alla, sans se soucier des trois filles qui y étaient collées. Elles furent bien obligées de courir derrière lui, de gauche à droite, et de droite à gauche, partout où il lui plaisait d'aller.
Ils rencontrèrent un curé dans les champs qui, voyant ce défilé étrange, se mit à crier :
- Vous n'avez pas honte, impudentes, de courir ainsi derrière un garçon dans les champs ? Croyez-vous que c'est convenable ?
Et il attrapa la benjamine par la main voulant la séparer des autres, mais dès qu'il la toucha il se colla à son tour et fut obligé de galoper derrière les autres.
Peu de temps après, ils rencontrèrent le sacristain. Celui-ci fut surpris de voir le curé courir derrière les filles, et cria :
- Dites donc, monsieur le curé, où courez-vous ainsi ? Nous avons encore un baptême aujourd'hui, ne l'oubliez pas !
Il s'approcha de lui et le prit par la manche et il ne put plus se détacher.
Tous les cinq couraient ainsi, les uns derrière les autres, lorsqu'ils rencontrèrent deux paysans avec des bêches qui rentraient des champs. Le curé les appela au secours, leur demandant de les détacher, lui et le sacristain. Mais à peine eurent-ils touché le sacristain que les deux paysans furent collés à leur tour. Ils étaient maintenant sept à courir derrière le Bêta avec son oie dans les bras.
Ils arrivèrent dans une ville où régnait un roi qui avait une fille si triste que personne n'avait jamais réussi à lui arracher un sourire. Le roi proclama donc qu'il donnerait sa fille à celui qui réussirait à la faire rire. Le Bêta l'apprit et aussitôt il se dirigea au palais, avec son oie et toute sa suite. Dès que la princesse aperçut ce défilé étrange, les uns courant derrière les autres, elle se mit à rire très fort.



Le Bêta réclama aussitôt le mariage, mais le roi n'avait pas envie d'un tel gendre. Il tergiversait et faisait des manières, pour déclarer finalement que le Bêta devait d'abord trouver un homme qui serait capable de boire une cave pleine de vin. Le Bêta pensa que le petit bonhomme gris serait certainement de bon conseil et consentirait peut-être à l'aider, et il partit dans la forêt. À l'endroit précis où se trouvait l'arbre abattu par le Bêta était assis un homme au visage triste. Le Bêta lui demanda ce qu'il avait.
- J'ai grand-soif, répondit l'homme, et je n'arrive pas à l'étancher. Je ne supporte pas l'eau. J'ai bu, il est vrai, un fût entier de vin, mais c'est comme si on faisait tomber une goutte sur une pierre chauffée à blanc.
- Je peux t'aider, dit le Bêta. Viens avec moi, tu verras, tu auras de quoi boire.
Il le conduisit dans la cave du roi. L'homme commença à boire le vin et il but et but jusqu'à en avoir mal au ventre. À la fin de la journée, il avait tout bu.
Le Bêta réclama de nouveau le mariage, mais le roi biaisait encore : un tel simplet, un tel dadais -comme d'ailleurs même son nom l'indiquait - pourrait-il devenir le gendre d'un roi ? Il inventa donc une nouvelle épreuve : le Bêta devrait d'abord lui amener un homme capable de manger une montagne de pain. Le Bêta n'hésita pas une seconde et partit dans la forêt. À l'endroit habituel était assis un homme, qui serrait sa ceinture avec un air très contrarié :
- J'ai mangé une charrette de pain, mais à quoi bon quand on a faim comme moi ? Mon estomac est toujours vide et je dois toujours serrer ma ceinture.
Le Bêta fut très heureux de l'apprendre et lui dit gaiement :
- Lève-toi et suis-moi ! Tu verras, tu mangeras à satiété.
Il emmena l'affamé dans la cour royale. Entre-temps, le roi fit apporter toute la farine du royaume et ordonna d'en faire une montagne de pain. L'homme de la forêt s'en approcha et se mit à manger. À la fin de la journée, il avait tout englouti. Et le Bêta, pour la troisième fois, demanda la main de la princesse. Mais le roi se déroba encore en demandant à son futur gendre de trouver un bateau qui saurait aussi bien se déplacer sur l'eau que sur la terre.
- Dès que tu me l'amèneras, le mariage aura lieu.
Le Bêta repartit dans la forêt et, là était assis le vieux gnome gris qui dit :
- J'ai bu pour toi, j'ai mangé pour toi. Et maintenant je vais te procurer ce bateau ; tout cela parce que tu as été charitable avec moi.
Et, en effet, il lui donna ce bateau qui naviguait aussi bien sur l'eau que sur la terre et le roi ne put plus lui refuser la main de sa fille.
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La oca de oro

L'oca d'oro
The golden goose
La oca de oro
L'oie d'or

Riflessioni e considerazioni
Considerations

Un hombre tenía tres hijos, al tercero de los cuales llamaban «El zoquete», que era menospreciado y blanco de las burlas de todos. Un día quiso el mayor ir al bosque a cortar leña; su madre le dio una torta de huevos muy buena y sabrosa y una botella de vino, para que no pasara hambre ni sed. Al llegar al bosque encontróse con un hombrecillo de pelo gris y muy viejo, que lo saludó cortésmente y le dijo:
- Dame un pedacito de tu torta y un sorbo de tu vino. Tengo hambre y sed.
El listo mozo respondió
- Si te doy de mi torta y de mi vino apenas me quedará para mí; sigue tu camino y déjame -y el viejo quedó plantado y siguió adelante. Se puso a cortar un árbol, y al poco rato pegó un hachazo en falso y el hacha se le clavó en el brazo, por lo que tuvo que regresar a su casa a que lo vendasen. Con esta herida pagó su conducta con el hombrecillo.
Partió luego el segundo para el bosque, y, como al mayor, su madre lo proveyó de una torta y una botella de vino. También le salió al paso el viejecito gris, y le pidió un pedazo de torta y un trago de vino. Pero también el hijo segundo le replicó con displicencia:
- Lo que te diese me lo quitaría a mí; ¡sigue tu mí; ¡sigue tu camino! ­y dejando plantado al anciano, se alejó. No se hizo esperar el castigo. Apenas había asestado un par de hachazos a un tronco cuando se hirió en una pierna, y hubo que conducirlo a su casa.
Dijo entonces «El zoquete»:
- Padre, déjame ir al bosque a buscar leña.
- Tus hermanos se han lastimado -contestóle el padre-; no te metas tú en esto, pues no entiendes nada.
Pero el chico insistió tanto, que, al fin, le dijo su padre: -Vete, pues, si te empeñas; a fuerza de golpes ganarás experiencia.
Diole la madre una torta amasada con agua y cocida en las cenizas. y una botella de cerveza agria. Cuando llegó al bosque se encontró igualmente con el hombrecillo gris, el cual lo saludó y dijo:
- Dame un poco de tu torta, y un trago de lo que llevas en la botella, pues tengo hambre y sed.
- No llevo sino una torta cocida en la ceniza y cerveza agria -le respondió «El zoquete»-; si te conformas, sentémonos y comeremos.
Y se sentaron. Y he aquí que cuando el mozo sacó la torta, resultó ser un magnífico pastel de huevos, y la cerveza agria se había convertido en un vino excelente.
- Puesto que tienes buen corazón y eres generoso, te daré suerte. ¿Ves aquel viejo árbol de allí? Pues córtalo; encontrarás algo en la raíz -. Y con estas palabras, el hombrecillo se despidió.
«El zoquete» se encaminó al árbol y lo árbol y lo derribó a hachazos, y al caer apareció en la raíz una oca de plumas de oro puro. Se la llevó consigo y entró en una posada para pasar la noche.
El dueño tenía tres hijas, que, al ver la oca, sintieron por ella una gran curiosidad, y el deseo de poseer una de sus plumas de oro. La mayor pensó: «Será mucho que no encuentre una oportunidad para arrancarle una pluma», y, un momento en que el muchacho salió de su cuarto, sujetó la oca por un ala; pero los dedos y la mano se le quedaron pegados a ella. Pronto acudió la segunda, con la idea de llevarse también una pluma de oro; pero no bien tocó a su hermana quedó pegada a ella. Finalmente, fue la tercera con idéntico propósito, y las otras le gritaron:
- ¡Apártate, por Dios Santo, apártate!
Pero ella, no comprendiendo por qué debía apartarse y pensando que si sus hermanas estaban allí, también ella podía estar, se acercó y, apenas hubo tocado a la segunda, quedó asimismo aprisionada sin poder soltarse. Y así tuvieron que pasarse la noche pegadas a la oca.
A la mañana, «El zoquete», cogiendo el animal bajo el brazo, emprendió el camino de su casa, sin preocuparse de las tres muchachas, que lo seguían quieras o no, haciendo eses, según le llevaban a él las piernas. En medio del campo se encontraron con el señor cura, quien, al ver la al ver la comitiva, dijo:
- ¿No os da vergüenza, descaradas, correr de este modo tras este joven en despoblado? ¿Os parece decente?


Y sujetó a la menor por la mano con intención de separarla; pero no bien la tocó, quedó a su vez enganchado y hubo de participar también en la carrera. Al poco rato acertó a pasar el sacristán, y, al ver al señor cura que seguía a las muchachas, sorprendido dijo:
- ¿Y pues, señor cura, adónde va tan de prisa? ¿Se ha olvidado de que hoy tenemos un bautizo? -y corriendo hacia él, lo cogió de la manga, quedando asimismo sujeto. Trotando así los cinco, topáronse con dos labradores que, con sus azadones al hombro, regresaban del campo. Llamólos el cura, pidiéndoles que lo desenganchasen, a él y al sacristán; pero no bien hubieron tocado los hombres a este último, ¡helos también aprisionados! Y ya eran siete los que corrían en pos de «El zoquete» y su oca.
Poco después llegaron a una ciudad, cuyo rey era padre de una hija tan seria y adusta, que nadie, había logrado hacerla reír. Por eso el Rey había hecho pregonar que daría la mano de la princesa al hombre que fuese capaz de provocar su risa. Al enterarse de ello, «El zoquete», arrastrando todo su séquito, se presentó a la hija del Rey, y al ver ella aquella hilera de siete personas corriendo sin parar una tras otra, se echó a reír tan a reír tan fuerte y tan a gusto, que no podía cesar en sus carcajadas. Entonces «El zoquete» la pidió por esposa.
Pero el Rey, al que no gustaba aquel yerno, opuso toda clase de objeciones, y, al fin, le dijo que antes debía traerle a un hombre capaz de beberse todo el vino que cabía en la bodega de palacio.
Pensó el joven en su hombrecillo del bosque y fue a pedirle ayuda. Y he aquí que en el mismo lugar donde cortara el árbol vio sentado a un individuo en cuyo rostro se pintaba la aflicción. Preguntóle «El zoquete» el motivo de su pesar, y el otro le contestó:
- Sufro de una sed terrible, que no puedo calmar de ningún modo. No puedo con el agua fría, y aunque me he bebido todo un tonel de vino, ¿qué es una gota sobre una piedra ardiente?
- Yo puedo remediar esto -díjole el joven-. Vente conmigo y te prometo que beberás hasta reventar.
Y así diciendo, lo condujo a la bodega real, donde el hombre la emprendió, bebe que te bebe, con las voluminosas cubas, hasta que ya le dolían las caderas, y antes de que se hubiese terminado el día, había vaciado toda la bodega.
«El zoquete» acudió nuevamente a reclamar su novia; pero el Rey, irritado al pensar que un mozalbete que todo el mundo tenía por tonto se hubiese de llevar a su hija, púsole una nueva condición. Antes debía condición. Antes debía encontrar a un hombre capaz de comerse una montaña de pan. No se lo pensó mucho el mozo, sino que se dirigió inmediatamente al bosque, y en el mismo lugar que antes, encontró a un hombre ocupado en apretarse el cinturón y que, con cara compungida, le dijo:
- Me he comido toda una hornada de pan. Pero, ¿qué es esto para un hambre como la que yo tengo? Mi estómago sigue vacío, y no me queda más recurso que apretarme el cinturón para no morirme de hambre.
Díjole «El zoquete» muy contento:
- Vente conmigo y te vas a hartar.
-Alzati e vieni con me, ti sazierai-.
Y lo llevó a la corte del Rey, el cual había mandado reunir toda la harina del reino y cocer con ella una enorme montaña de pan. El hombre del bosque se situó enfrente de ella, empezó a comer, y, al ponerse el sol, aquella enorme mole había desaparecido. Por tercera vez reclamó «El zoquete» a la princesa; pero el Rey, buscando todavía dilaciones, le exigió que le trajera un barco capaz de ir por tierra y por agua.
-En cuanto llegues navegando en él -díjole-, mi hija será tu esposa.
Nuevamente se encaminó el muchacho al bosque, donde lo aguardaba el viejo hombrecillo gris con quien repartiera su torta, y que le dijo:
- Para ti he comido y bebido, y ahora te daré el barco. Todo eso lo hago porque fuiste compasivo conmigo.
Y le dio el barco que iba barco que iba por tierra y por agua; y cuando el Rey lo vio, ya no pudo seguir negándose a entregarle a su hija. Celebróse la boda; a la muerte del Rey, «El zoquete» heredó la corona, y durante largos años vivió feliz con su esposa.
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